SOCRATE
EREDE E AVVERSARIO DEI SOFISTI (LA VERITA’ “EMERGE” DAL
DIALOGO).
Di Socrate (vissuto ad Atene dal 470 al 399 a.c.) sappiamo che:
a) è figlio di uno scultore e di una levatrice (origini, queste,
che il filosofo ricorda spesso, allorchè sottolinea com’egli stesso ‘faccia nascere’ un qualcosa 'dall’interiorità' dei suoi
interlocutori);
b) si lascia coinvolgere ben poco dalla vita familiare (sua
moglie Santippe è ricordata come esempio emblematico di donna petulante) come dalla
vita sociale (pur combattendo con onore per la sua città);
c) viene condannato a morte bevendo la cicuta (con le accuse,
all'epoca per nulla infrequenti, di 'misconoscere'
gli dei della tradizione, e di 'corrompere'
con i suoi insegnamenti la gioventù ateniese).
Socrate si propone come erede e, al contempo, avversario dei
sofisti:
- erede in quanto anch’egli si
disinteressa delle problematiche riguardanti il mondo naturale (cioè il Cosmo e le sue manifestazioni,
animate o inanimate che siano) per volgere la propria attenzione verso le
questioni attinenti il mondo
umano (al variegato quanto multiforme orizzonte delle 'relazioni' interpersonali
e delle 'istituzioni' cittadine);
- avversario in quanto ne rigetta con fermezza il ‘relativismo’ gnoseologico e morale (tra ‘0’ Verità oggettive, certe o non-contraddittorie, e ‘+’ verità soggettive, più o meno covincenti o persuasive, esiste '1' sola Verità ‘inter-soggettiva’, quale ‘emerge’ dal dialogare degli interlocutori in ogni discorso filosoficamente pregnante).
‘MECCANICA’ DEL DIALOGARE SOCRATICO (NON-SAPERE, IRONIA E MAIEUTICA).
Vagando per le strade di Atene, Socrate si andava avvicinando
soprattutto a quei suoi concittadini che, noti come ‘esperti’ in una qualche forma di 'arte',
mostravano di ‘possedere’ un qualche tipo di sapere (un politico importante o,
anche, un umile calzolaio);
- 1) Momento n°1: la consapevolezza della
propria ignoranza è condizione necessaria a che il dialogo abbia un inizio
– è cioè condizione necessaria a che X “ponga domande” a Y.
Dopo una teatrale ‘adulazione’ di questo loro sapere, egli
iniziava ad un certo punto a ‘far
finta’ di volerne essere edotto e, mossi dalla presunzione, questi
iniziavano ad esporgliene i termini;
- 2) Momento n°2: la finzione ironica è condizione
necessaria a che il dialogo continui – è cioè condizione necessaria a che Y “dia
risposte” a X.
Ma … : ‘confutando’ una ad una - e razionalmente - tutte le argomentazioni
che sostanziavano di se tali esposizioni, Socrate li induceva pian piano a
prender coscienza del loro ‘non-possedere’ un sapere e quindi, della necessità di ‘partorire da sé’ un loro autonomo sapere.
- 3) Momento n°3: la valenza maieutica della
confutazione è condizione necessaria a che il dialogo abbia un fine – ogni nuova
risposta non può, infatti, fare a meno
di ‘aprire’ a nuove domande.
IL “CONCETTO” (ELENCAZIONE E 'DEFINIZIONE').
L'intero svolgimento dei dialoghi socratici verteva sempre
intorno ad un’unica domanda centrale: ti ésti ?, ovvero “che cos’è ?”
(invenzione del ‘concetto’) … una
domanda, questa, che - finalizzata com’era a porre a oggetto del dialogo un
‘comune’ oggetto d’indagine – appariva per ciò stesso finalizzata a far
emergere, dal dialogo stesso, un sapere linguisticamente
(e concettualmente) ‘comune’ agli
interlocutori.
Così, ad esempio, riguardo a uno specifico oggetto d’indagine (quale
potrebbe essere il ‘coraggio’):
·
mentre gli interlocutori
rispondevano con una ‘elencazione’ dei modi (molteplici e mutevoli)
in cui esso ‘appare’ a questo o quell’individuo (‘quando’ o ‘dove’, ‘come’ o
‘perché’ si è coraggiosi) ...
·
... Socrate tornava a
chiedere loro una ‘definizione’
del ‘cosa’ - nella sua unità e immutabilità - il coraggio ‘è’ in
sé (nascita del ‘concetto’ come ‘rifiuto’ del coevo relativismo sofistico).
LA 'VIRTU’ COME 'RAZIONALITA'.
I greci intendevano per “virtù” il modo ‘ottimale’ d’essere d’un qualcosa (la ‘fertilità’ per
un terreno, la ‘forza’ per il leone, la ‘capacità di tagliare’ per un coltello,
etc.). In rispondenza a tale concezione:
a) i sofisti avevano riconosciuto il modo ottimale d’essere
dell’uomo nella ‘razionalità’;
b) Socrate aggiunge che razionali - e, quindi, capaci di bontà - non ‘si nasce’ ma ‘si diventa’.
Infatti:
a) proprio come è impossibile diventare buoni tennisti ‘indipendentemente’
dal giocare a tennis;
b) così è impossibile diventare buoni individui ‘indipendentemente’
dalle situazioni contingenti ...
Per Socrate è insomma inevitabile ‘fare’ il
male se (e finchè) non si perviene a ‘sapere’ il
Bene: perché è inevitabile che - indipendentemente dalla propria o
soggettiva volontà (e per il proprio
bene, oltre che per il bene altrui, cioè “nella” natura e “fra” gli altri) - si
passi col tempo dal non sapere al saper distinguere fra ciò che fa bene e
ciò che fa invece male.
IL “BENE” (LE ACCUSE DI INTELLETTUALISMO E FORMALISMO ETICO).
Da un lato sembra che
Socrate abbia voluto promovere un rovesciamento della tradizionale ‘tavola’ dei
valori, allorchè identifica questi
ultimi:
a) non più con i beni ‘corporei’ di
origine naturale (la forza fisica, la bellezza esteriore, etc.) o
di origine sociale (la
ricchezza economica, il successo sociale, etc.);
b) ma con quell’unico Bene ‘spirituale’ che, solo, può discendere da una vita
condotta con ‘coscienza’ critica (occorre prima 'interrogar-si' se si vuole,
poi, essere in grado di 'interrogare').
D’altro lato occorre
però aggiungere che, per tale 'rovesciamento', Socrate verrà in seguito accusato:
a) di ‘sopravvalutare’ le potenzialità della ragione
umana colta nella sua ‘purezza’;
·
Socrate non considera il
peso assunto, nelle decisioni umane, dalle ‘pulsioni’
riconducibili alla sfera più
strettamente istintiva, passionale o
emozionale (‘intellettualismo’ etico);
b)
di ‘sovrastimare’ un non
meglio precisato o generico Bene, ovvero un Bene in sé ‘astratto’.
·
Socrate omette di indicare
quei comportamenti che, in concreto,
sono da assumersi nelle singole quanto diverse ‘situazioni’
della vita di tutti i giorni (‘formalismo’ etico).
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