MAX WEBER
1 – Vita e opere (cenni).
1864-1906: nasce nella cittadina
di Erfurt da famiglia agiata, socialmente e politicamente impegnata, che lo
avvia verso studi alla cui conclusione scrive le sue opere metodologiche più
importanti (“L’oggettività conoscitiva delle scienze sociali”, e “L’etica
protestante e lo spirito del capitalismo”, entrambe del 1904);
1907-1915: si batte per un
passaggio del potere economico e giuridico dall’aristocrazia terriera alla
borghesia cittadina (con l’obiettivo di fare della Germania un paese rispettoso
delle libertà civili al pari dell’Inghilterra e della Francia), e partecipa,
come delegato della nuova Repubblica di Weimar, alle trattative di pace di
Versailles;
1916-1920: afflitto da problemi
di salute, si allontana sempre più dalla vita attiva per dedicarsi alla stesura
di altri scritti fondamentali, fra i quali sono da ricordare “La scienza come
professione”, “La politica come professione” (entrambe del 1919) e quella vera
e propria ‘summa’ del suo pensiero che è “Economia e società”.
Lo studioso di scienze
fisico-naturali è possibilitato ad assumere, come ‘petitio principii’,
l’uniformità e costanza – o immutabilità - delle leggi naturali … ed è quindi possibilitato:
a)
a osservare gli
‘effetti’ (percepiti ‘passivamente’
dai sensi);
b)
per decidere circa la maggiore o minore plausibilità di
alcune ‘cause’ (chimiche, fisiche,
biologiche etc.) rispetto ad altre cause.
Lo studioso di scienze
storico-sociali è invece impossibilitato ad assumere, come ‘petitio principii’,
l’uniformità e costanza – o immutabilità - delle leggi storiche … ed è quindi necessitato:
a)
a soppesare i
‘mezzi’ (elaborati ‘attivamente’ dalla ragione);
b)
per valutare circa la maggiore o minore perseguibilità
di alcuni ‘fini’ (economici,
sociali, politici etc.) rispetto ad altri fini.
In termini metodologicamente scientifici, le scienze storico-sociali devono quindi:
a) evitare di privilegiare, quale fosse in qualche misura “necessitata”, questa o quella 'visione alternativa' delle strutture economiche (economia), delle relazioni interpersonali (società)
e delle Istituzioni dotate di autorità (politica);
b) descrivere le mere circostanze materiali che – in questa o quella particolare
epoca storica o luogo geografico, hanno permesso di ‘decidere’ per una visione
alternativa piuttosto che per un’altra (Cristianesimo o ebraismo,
feudalesimo o Illuminismo, Capitalismo o socialismo,
etc.).
3 – Arbitrarietà e necessità dei tipi ideali per l'imputazione causale.
Le ‘prospettive’ teoriche (“tipi
ideali”) alla luce delle quali, unicamente, lo storico riesce ad espletare le
proprie descrizioni pratiche (“imputazioni causali”) sono:
a)
soggettivamente arbitrarie – nell'elaborare la
prospettiva teorica da cui guardare i fatti, lo storico appare invariabilmente ‘condizionato’ dall’educazione (familiare) ricevuta,
dalle relazioni (sociali) intrattenute, e dalle idealità (politiche, religiose
e, ‘sensu latu’, culturali) condivise.
b)
ma, anche, metodologicamente
necessarie – senza una prospettiva
teorica da cui guardare i fatti, allo storico risulta del tutto ‘impossibile’ sia ‘codificare’ le domande (da rivolgere alle testimonianze storiche)
sia ‘decodificare’ le risposte (da
dare per spiegarne la genesi e/o i caratteri) …
… laddove, paragonando gli
ideal-tipi a degli 'occhiali', potrebbe dirsi che:
a) mentre il politico è
(ideologicamente) impegnato a convincere che – attraverso i propri occhiali – un evento risulta più bello,
giusto o utile, rispetto a come risulta attraverso altri occhiali;
- un ‘medesimo’ evento storico come, ad esempio, l'assassinio di Giulio Cesare del 44 a.c., può essere ricondotto all'eroismo dei congiurati (da uno storico interessato a tramandare, in futuro, i valori del governo repubblicano) come, anche, alla loro vigliaccheria (da uno storico interessato a tramandare, invece, i valori del regime imperiale);
- lo ‘neutralità’ dello storico consiste nel soppesare la ‘potenza esplicativa’ della prospettiva teorica da lui adottata (un ‘tipo ideale’ può infatti considerarsi tanto più 'ermeneuticamente' valido quante più domande gli permette di rivolgere e quante più risposte gli permette di formulare circa le testimonianze prese in esame).
4
– Le
critiche al Sistema: ‘disincanto del mondo’ e ‘gabbia d’acciaio’.
Per l’ultimo Weber, l’approccio
empirico - proprio del sapere scientifico e tecnologico - ha finito per
risolvere il processo (iniziale) di asservimento della natura all’uomo in un
processo (finale) di asservimento dell’uomo al Sistema.
Avallare la convinzione secondo
cui - razionalmente ‘conoscibili’ - sono
da considerarsi solo quelle cause di cui risultino inter-soggettivamente 'osservabili’ gli
effetti (espunzione dell’essere divino dalla sfera dell’immanenza, o “disincanto” del mondo) equivale
all’avallare l’idea che, come soggetto di razionalità, l’uomo non possa proporsi
che come soggetto di un ‘pensiero’ eteronomo.
· non appartenendo all’uomo né il ‘progetto’
iniziale né il ‘prodotto’ finale, ogni cosa finisce inevitabilmente per apparire,
all’uomo stesso, come ‘frutto’ di una creatività ‘altra’ dalla propria.
Avallare la convinzione secondo
cui - eticamente ‘perseguibili’ - sono
da ritenersi solo quei fini per cui risultino intersoggettivamente ‘misurabili’
i mezzi (restrizione della libertà umana alla sfera dell’immanenza, o “gabbia” d’acciaio) equivale all’avallare
l’idea che, come soggetto di libertà, l’uomo non possa proporsi che come soggetto
di una ‘azione’ eteronoma.
· non appartenendo all’uomo neppure gli ‘strumenti’
di produzione, l’uomo stesso è
come ridotto a ‘farli funzionare’ senza neppure sapere ‘come’, al pari della ‘rotellina’
di un ingranaggio che lo trascende.
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