lunedì 19 settembre 2016

RINASCIMENTO E POLITICA

1 – Niccolò Machiavelli: fortuna e 'virtù'.

Precorrendo le tesi di Spinoza e Hobbes, Machiavelli (1469-1527) è il primo a considerare l'uomo:
a) non più - e 'in astratto' - come uomo ideale, ovvero assolutamente 'libero' di perseguire una felicità 'nostalgicamente' perduta, o 'utopicamente' raggiungibile;
b) ma piuttosto - e 'in concreto' - come uomo reale, e quindi relativamente 'condizionato' dalla contingenza delle singole quanto diverse situazioni particolari.


La “lezione delle cose antique” e la “esperienza delle moderne” dimostrano infatti che:
  • 'Cause’ del tutto fortuite, ed ‘effetti’ altrettanto fortuiti, possono far sì che d'un tratto diminuisca la quantità dei ‘beni’ disponibili, o che d'un tratto aumenti la quantità degli ‘individui’ che a tali beni aspirano (la “fortuna”);
  • Tutti gli esseri umani si trovano quindi a oscillare, senza posa, fra i due opposti poli del ‘bisogno’ da soddisfare (in-sufficienza, sempre riemergente), e del ‘soddisfacimento’ del bisogno stesso (auto-sufficienza', sempre momentanea);
  • Ognuno è  pertanto chiamato a dotarsi di una ‘virtù’ che, per la prima volta, appare intesa (in termini scevri da implicazioni morali) come capacità di ‘scegliere’ i mezzi da adottarsi ‘in relazione’ ai fini da perseguirsi (il fine ‘giustifica’ i mezzi).
Di qui l'elenco di tutte quelle doti che - anche in nome di ragioni "superiori" a quelle dei singoli sudditi (ragion "di Stato") - permettono a un Principe di conquistare e mantenere il potere, ovvero:
a) acutezza nell’osservare le diverse 'variabili' in gioco nelle singole e diverse situazioni (gli individui, le famiglie, e i 'gruppi' d'interesse);
b) previdenza nel valutare la reale 'incidenza' di tali variabili sull'evolversi della situazione (i 'rapporti di forza' intercorrenti fra gli individui, le famiglie e i gruppi);
c) fermezza nell’incidere sulle situazioni modificabili ma, anche, duttilità nell’adeguarsi a quelle immodificabili (farsi fisicamente ‘leoni’ ma, anche, intellettualmente ‘volpi’).

2 – Jean Bodin: il Sovrano illimitato e 'divino'.

In polemica con il Machiavelli (per il quale il governante deve, all'occorrenza, saper agire anche "prescindendo" da implicazioni morali, in quanto sono gli stessi governati a prescindere sempre da tali implicazioni), Jean Bodin (1530-1596) afferma invece che l’agire del governante deve - in ogni caso - far prevalere gli interessi della collettività su quelli dei singoli: e, questo, perché è la stabilità stessa della ‘convivenza sociale’ che richiede la stabilità di un equilibrio fra istinti naturali (che sono ’necessariamente’ individuali) e precetti morali (che sono invece ‘possibilmente’ sovra-individuali)…

…una stabilità, questa, che può a suo giudizio esser garantita soltanto da una ‘autorità sovrana’ che:
  • non può essere limitata - nello spazio e nel tempo - da altra autorità umana all’infuori della propria (il Sovrano, ‘sciolto’ da qualsiasi legge, è a sua volta  unica ‘fons Legis’);
  • deve lasciarsi guidare – in ogni sua decisione - da quei precetti divini che, soli, possono garantire il diritto dei sudditi a vita, libertà e proprietà (il Sovrano è tale perinvestitura’ divina).


3 – Huigh van Groot: società e ‘Stato.

Huig van Groot (1583-1645) getta le basi del 'contrattualismo' di età moderna distinguendo fra:
  • ‘pactum unionis’ (o ‘societatis’) con il quale gli individui si ‘riconoscono’ l’eguaglianza dei diritti alla vita, alla libertà e alla proprietà (la società ha origine dalla libertà ‘naturale’ dei singoli a instaurare relazioni, per scambiarsi beni e servizi);
  • ‘pactum subjectionis’ (o ‘gubernationis’) con il quale gli individui ‘affidano’ a un’autorità sovra-individuale il preservamento di tale eguaglianza (lo Stato ha origine dalla necessità ‘razionale’ di preservare l'eguaglianza fra i singoli, e delle loro condizioni).
Come atto conclusivo di un lungo processo di “de-sacralizzazione” del potere, questa distinzione:
  • segna il passaggio dalle concezioni politiche medioevali (lo Stato, come arbitro, che deve 'impedire' ai singoli di 'consumare' solo per se) alle concezioni politiche moderne (lo Stato, come arbitro, che deve 'permettere' ai singoli di 'produrre' anche per gli altri) ...
  • ... perchè implicante l’idea che – nel momento in cui il Sovrano viene meno al suo dovere (etico-morale) di preservare l’eguaglianza dei diritti fra tutti i ‘sudditi’ – questi ultimi hanno tutto il diritto (politico-civile) di venir meno al loro dovere di obbedienza nei confronti del Sovrano.


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