2° SCOLASTICA
IL PENSIERO ARABO:
INNOVAZIONI E CONDANNE.
1 – L’irruzione degli arabi.
La riflessione islamica del periodo medioevale:
- viene inaugurata da Al-Kindi, Al-Rahzi e Al-Fahrabi (VIII-IX sec.) con lo scopo (comune anche al pensiero filosofico d'ispirazione giudaica e cristiana) di conciliare l'assolutezza del Dio unico con l’Essere metafisico indagato in età classica;
- si sviluppa grazie alla mediazione delle concezioni
emanatiste (X-XI sec.) che– in modo alquanto equivoco – identificano l'Assoluto
ora con l'Uno
(trascendente) ora con la materia (immanente);
- per poi concludersi con Ibn-Sina e Ibn-Rashid (XII-XIII sec.) che, con la formulazione di nuove ipotesi, comportano una ‘messa in discussione’ di dogmi fondamentali del credo cristiano (soprattutto, la ‘distinzione’ fra creante e creato, e la ‘immortalità’ dell’anima).
2 – Le nuove ipotesi: il Dio 'creatore' e il mondo 'creato'.
TENDENZA RELIGIOSA - La tesi di Dio come Essere che, nella sua unità e immutabilità, è 'trascendente' il mondo (nella molteplicità e mutevolezza delle sue manifestazioni) comporta che Dio abbia creato il mondo “una volta e per tutte”, e come un qualcosa di “distinto e separato” da se … : con un atto di volontà assolutamente libero che comporta il riconoscimento di una maggiore importanza del pensiero divino (che pensa o plasma) rispetto alla materia (che viene pensata o plasmata);
L’intelletto intelligibile ‘in potenza’ è l’intelletto ‘umano’ che tutte le essenze ‘passivamente’ accoglie, come uno specchio ‘riflettente’ la luce (nous patetikos);
L’intelletto intelligibile ‘in atto’ è invece l’intelletto ‘divino’ che tutte le essenze ‘attivamente’ produce, come una fonte 'irradiante' la luce (nous poietikos) ...
... una distinzione, questa, dalla quale discende che l'anima umana risulta:
TENDENZA RELIGIOSA - La tesi di Dio come Essere che, nella sua unità e immutabilità, è 'trascendente' il mondo (nella molteplicità e mutevolezza delle sue manifestazioni) comporta che Dio abbia creato il mondo “una volta e per tutte”, e come un qualcosa di “distinto e separato” da se … : con un atto di volontà assolutamente libero che comporta il riconoscimento di una maggiore importanza del pensiero divino (che pensa o plasma) rispetto alla materia (che viene pensata o plasmata);
TENDENZA SCIENTIFICA - La tesi di Dio come Essere che, nella sua unità e immutabilità,
è 'immanente' al mondo (nella
molteplicità e mutevolezza delle sue manifestazioni) comporta invece che Dio
crei il mondo “di volta in volta”, e come un qualcosa di “coincidente” con se … : con una
connessione assolutamente necessaria tra i fatti dell'esperienza
che comporta il riconoscimento di una eguale importanza del pensiero divino (che pensa
o plasma) rispetto alla materia (che viene pensata o plasmata).
3 – Le nuove ipotesi: la mente 'raziocinante' e l'anima
'spirituale'.
L’intelletto intelligibile ‘in potenza’ è l’intelletto ‘umano’ che tutte le essenze ‘passivamente’ accoglie, come uno specchio ‘riflettente’ la luce (nous patetikos);
L’intelletto intelligibile ‘in atto’ è invece l’intelletto ‘divino’ che tutte le essenze ‘attivamente’ produce, come una fonte 'irradiante' la luce (nous poietikos) ...
... una distinzione, questa, dalla quale discende che l'anima umana risulta:
a) immortale nella misura in cui, l'intelletto intellegibile in
potenza, ‘passa’ ad essere
intellegibile in atto (come intelletto 'acquisito');
b) mortale nella misura in cui, tale passaggio, non può
esplicarsi ‘a prescindere’ da
sensi che, pure, sono parte integrante del corpo (di per se 'corruttibile').
4 – Le condanne della Chiesa.
1228-32: Roma impone di non commentare i nuovi testi ma - per arginare la fuga di allievi (che avevano iniziato ad ‘emigrare’ verso centri di studio più aperti e liberali) - le facoltà di Parigi e di Oxford rifiutano di obbedire alla prescrizione ecclesiastica.
Sulla scia della distinzione fra significato ‘letterale’
(teologico) e senso ‘allegorico’ (filosofico) dei testi, Sigieri di Brabante e
Boezio di Dacia propongono di accettare la co-esistenza di verità fatte proprie
‘per fede’ e verità conseguite per mezzo della ‘ragione’, come verità
egualmente valide – e solo in apparenza, e a volte, in contrasto fra loro - nei
rispettivi ambiti (dottrina della cosiddetta ‘doppia verità’).
TOMMASO D’AQUINO
1 – Ragione e fede: “regula fidei” e “praeambula fidei”.
Anselmo era solito dire “credo ut intellegam” (= “credo per intendere”), volendo con questo affermare che è compito della fede indicare alla ragione il ‘cosa’ e il come’ credere; Abelardo era invece solito ripetere “intellego ut credam” (= “intendo per credere”), volendo con questo sostenere che non è in alcun modo possibile credere in ciò che neanche si comprende.
Per Tommaso d’Aquino, la ragione umana:
- non può da sola comprendere né le verità divine, che si
pongono ‘al di là’ della sua
portata (in quanto ‘superiori’ alle categorie proprie della logica umana),
né le verità
naturali che, pur ponendosi alla sua portata, richiedono però
di percorrere ‘vie dimostrative’ (che non sono affatto esenti
dall’errare);
- deve pertanto ricorrere alla fede
intesa come ‘assenso’
alle verità rivelate di carattere non ‘intellettuale’ (o razionalmente ‘evidente’, del
tipo 2 + 2 = 4) ma ‘volontario’, vale a dire fornito di quella stessa
saldezza che è propria di tale evidenza (si crede in Dio non perchè 'si
sa' Dio ma perchè 'si vuole' Dio).
Nel 'delineare' l’oggetto della
conoscenza in tutte le sue possibili determinazioni – attraverso le
‘sacre’ scritture – la fede ha il
compito di ‘indicare’, alla ragione umana, il ‘cosa’ e il ‘come’
credere (“Regula fidei” per cui, nel caso di eventuali
contrasti tra fede e ragione, si deve in ogni caso supporre che ad errare sia
quest'ultima).
‘Fondata’ com’è su principi di per se certissimi – quali sono i ‘principi’ della logica – la ragione è dal suo canto chiamata a ‘dimostrare’ quelle verità ‘fondamentali’ senza le quali, la fede stessa, vacillerebbe o verrebbe meno in ogni credente (“Praeambula fidei” tra cui, ad esempio, sono la stessa l'esistenza di Dio, e l’immortalità dell’anima).
‘Fondata’ com’è su principi di per se certissimi – quali sono i ‘principi’ della logica – la ragione è dal suo canto chiamata a ‘dimostrare’ quelle verità ‘fondamentali’ senza le quali, la fede stessa, vacillerebbe o verrebbe meno in ogni credente (“Praeambula fidei” tra cui, ad esempio, sono la stessa l'esistenza di Dio, e l’immortalità dell’anima).
2 – Ente, essenza ed esistenza ('definizione' e ‘analogia’).
Nel ricondurre tutte le possibili manifestazioni dell'essere al solo concetto di “Sostanza” come ‘causa sui’, Aristotele non aveva potuto promuovere nessuna distinzione fra l'essere di Dio (come 'creatore') e l'essere delle entità naturali (come 'creato') … : e questo perchè – sia Dio che il mondo – mostrano in realtà di offrirsi all'uomo come esistenti “in se” e concepentisi “per se”.
Alla luce della distinzione fra essenza (o esseità 'in potenza') ed esistenza (o esseità 'in atto'), Tommaso può invece introdurre tale distinzione affermando che:
- mentre Dio possiede l’essere come ‘necessariamente’ non-creato, in
quanto sinolo ‘sensibilmente’
– e, quindi, razionalmente - inscindibile di materia e forma (per definizione, Dio è ed ha l’Essere, cioè “possiede” l’esistenza, per ‘se’
stesso);
- l’entità naturale possiede invece
l’essere come ‘possibilmente’ creato,
in quanto sinolo
‘sensibilmente’ – e, quindi, razionalmente - scindibile di
materia e forma (per analogia, l’entità naturale è ma non ha l’essere,
cioè “'riceve” l’esistenza, da ciò che è 'altro' da
se) ...
... laddove, mentre il post rem (razionalità umana) deriva dall’in re
(entità naturali), l’in re deriva dall’ante-rem (Pensiero divino).
Per Tommaso, dimostrare la natura (e gli ‘attributi’) di Dio richiede di procedere:
a) non dall’esse ‘in intellectu’ all’esse ‘in re’ (dal
Creatore, come causa, al creato come effetto);
b) ma dall’esse ‘in re’ all’esse ‘in intellectu’
(dal creato, come effetto, al Creatore come causa) …
… e questo perché – all’opposto dei pochi che sanno cosa davvero
significhi esse 'in intellectu' (Dio come creatore) - ben tanti sono invece coloro che sanno cosa
significhi esse 'in re' (la natura come creato).
Di qui le seguenti cinque ‘vie’ (o dimostrazioni):
Di qui le seguenti cinque ‘vie’ (o dimostrazioni):
- Ex causa = ogni cosa mostra
di avere una causa 'altra' da se, e si deve quindi accettare l’esistenza di una ‘causa prima’ che non
ha altra causa all’infuori di se;
- Ex fine = ogni cosa mostra
di avere un fine 'altro' da se, e si deve quindi accettare l’esistenza di una ‘fine ultimo’ che non
ha altro fine all’infuori di se;
- Ex motu = ogni cosa mostra
d’essere in movimento, e si deve quindi accettare l’esistenza di un
‘motore primo’ che
non ha altro motore all’infuori di se;
- Ex gradu = ogni cosa mostra
di avere un grado di perfezione ‘diverso’ (una cosa è ‘più o meno’ buona, più o meno bella, etc.), e si deve
quindi accettare l’esistenza di un grado di perfezione ‘massimo’ in relazione
al quale, tale diversità, assume un senso;
- Ex contingentia = ogni cosa mostra di essere ‘contingente’ (nessuna delle cose terrene, o transeunti, si è ‘voluta’ da se), e si quindi accettare l’esistenza di un Essere ‘assoluto’ che ha ‘in se’ stesso tale ‘ragione’ (ogni 'voluto' implica un 'volente').
4 - Etica: provvidenza divina e libertà umana.
Per Tommaso, la provvidenza divina non esclude ma, anzi, include la libertà umana. Infatti:
- se è vero che non c'è merito se non ‘dopo’ la caduta nel peccato (per riconoscere e, quindi, scegliere consapevolmente fra Bene e male, occorre prima sperimentare in cosa si differenzino);
- è anche vero che la ‘pre-determinazione’ del susseguirsi di determinati effetti a determinate cause (in termini necessari o possibili), non esclude ma, anzi, include che tale susseguirsi ‘si verifichi’.
Detto in altri termini - se Dio ha ‘pre-determinato’ dalla notte
dei tempi che, alla somministrazione di un cibo avariato/buono, segua una
condizione di malessere/benessere - ciò non comporta per l'uomo alcun
obbligo o necessità di assumere l’uno piuttosto che l’altro (dinanzi al
cibo avariato come dinanzi a quello buono, l’uomo continua cioè a mantenere
integra, nel tempo, tutta la sua libertà di scelta).
Proprio perché provvisto di libero arbitrio, l’uomo può decidere di perseguire una felicità ‘terrena’ o ‘ultra-terrena’ a seconda che, la sua volontà, decida di lasciarsi determinare:
- ora dai beni materiali (che, molteplici e mutevoli, "a fatica" vanno mantenute perchè a fatica si conquistano, nella loro irriducibile "contingenza");
- ora da quell’unico Bene spirituale che è Dio (e che, unico e immutabile, permette all'uomo di sollevarsi "al di sopra" di ogni possibile contingenza).
- ‘costante’ (è sempre ‘gradualmente’ che si cade nel peccato, ed è in modo altrettanto graduale che, sempre, ci si può redimere dal peccato stesso);
- ‘reversibile’ (per quanto si possa esser caduti nel peccato, è sempre possibile redimersi, e per quanto si possa esser stati redenti, è sempre possibile ricadere nel peccato).
A mezza strada fra la concezione medioevale di Agostino (lo Stato è necessità voluta da Dio, per limitare il 'consumo' egoistico dei singoli) e la concezione moderna di Machiavelli (lo Stato è necessità imposta dagli uomini, per permettere agli uomini stessi di continuare a 'produrre'), Tommaso distingue innanzitutto fra ‘lex divina’, ‘lex naturalis’ e ‘lex humana’, precisando che:
- ‘discendono’
le une dalle altre, secondo
un diverso livello di perfezione;
- non possono, come ‘frutto’ di una
medesima 'razionalità', entrare in contrasto
fra loro.

Superiori a tutte le altre sono le Leggi divine, in quanto uniche
che permettono a ognuno di ‘sottrarsi’ al ‘fluttuare’ delle molteplici e
mutevoli 'situazioni' contingenti.
Riflesso delle leggi divine, le leggi naturali - cui gli uomini sono soggetti al pari di ogni altro organismo vivente (piante e animali) – sono invece finalizzate a garantire il 'preservamento':
a) di ‘se’ stessi (la propria conservazione);
b) di chi ‘si ama’ (il maschio e la femmina, il
focolare domestico, e i figli);
c) del ‘bene comune' (la 'comunitas').
Riflesso delle leggi naturali, le leggi umane sono infine finalizzate
a garantire il preservamento del bene comune (l’equità
sociale e, quindi, la Giustizia) …laddove:
- se c’è accordo unanime fra i popoli allorché
si tratta di 'descrivere'
i reati da punire ... il ‘cosa’ è proibito fare (jus gentium = diritto
'consuetudinario', o non-scritto);
- tale accordo viene meno allorchè si
tratta di 'prescrivere'
le pene da comminare ... il ‘come’ sanzionare le eventuali violazioni (jus civile =
diritto 'positivo', o scritto).
Nessun commento:
Posta un commento