MARTIN HEIDEGGER
1 – Vita e opere (cenni).
1889-1916: nato a Messkirch, si
dedica ben presto alla filosofia (legge i pre-socratici, Platone e Aristotele, le
costruzioni metafisiche della scolastica, Kant, Hegel e Nietzsche);
1917-1935: divenuto segretario
personale di Husserl, ne prende il posto per dedicarsi con calma alla stesura
dei suoi primi lavori importanti (“Essere e tempo”, 1927, “Che cos’è la
metafisica?”, 1929, “L’essenza della verità”, 1930), ma guarda con eccessiva simpatia
al 'germanesimo' hitleriano;
1936-1949: maturata una svolta
radicale del proprio pensiero, il filosofo omette di allontanarsi con decisione
dal nazionalsocialismo, e subisce un tracollo economico (confisca dei beni, ed
esclusione dall’insegnamento) dal quale viene salvato grazie all’intervento di
diversi intellettuali;
1950-1976: da un rifugio della
Selva Nera, cura la pubblicazione dei suoi ultimi scritti (“Lettera
sull’umanesimo”, 1947, “Che cosa significa pensare?”, 1954, “Identità e
differenza”, 1959).
2 – L’esistenza umana come 'progetto-gettato' (l'esser-ci come
'apertura' all'Essere).
Rovesciando la prospettiva
husserliana, Martin Heidegger afferma che:
a) è l'assenza della coscienza
'trascendentale', come “esser-gettati-nel
mondo” fra una Verità che ‘non può non’ essere una volta e per tutte
(da sempre e per sempre), e una Giustizia che 'può anche non' venir voluta di
volta in volta (“nel” tempo);
b) che, all’insegna della più assoluta
fallibilità (gnoseologica non meno che etica), costringe questa o quella coscienza
'empirica' a manifestarsi e ri-manifestarsi a se stessa – senza fine - come “esser-ci” (o esser-con-le cose,
esser-fra-gli-altri ed esser-per-la-morte).
Infatti, per l’uomo colto nella
sua quotidianità:
- la natura non si conosce (non “è”) da se e, ciò che l'uomo conosce - 'della' natura - non è altro che il frutto del suo dubitare circa la verità dei suoi atti cognitivi;
- la storia non si agisce (non “si fa”) da se e, ciò che l'uomo fa - 'nella' storia - non è altro che il frutto del suo dubitare circa la giustezza dei suoi atti valutativi;
- Il linguaggio non si dice (non “dice”) da se e, ciò che l'uomo dice - 'con' il linguaggio - non è altro che il frutto del suo dubitare circa la significanza dei suoi atti linguistici.
3 – Esistenza autentica ed esistenza 'inautentica' (curare e 'trascurare').
L’esistenza è “autentica”
allorchè, ‘aprendosi’ all’Essere – e accettando di mettere e ri-mettere
in discussione 'verità', 'giustezza' e 'significanza' dei propri atti (cognitivi,
valutativi e linguistici) – ci si eleva a “trascendere” l'ente (da-sein
= esser-ci) …
- “curandosi” delle cose, degli altri e di se stesso - come di cose in qualche modo o misura 'importanti', o utili per se - e ‘integrandole’ quindi come 'parte' del proprio personale 'progetto' (conoscitivo, valutativo ed espressivo) di esistenza.
L’esistenza è invece “inautentica” allorchè, ‘non-aprendosi’ all’Essere - e rifiutando di mettere e ri-mettere in discussione 'verità', 'giustezza' e 'significanza' dei propri atti (cognitivi, valutativi e linguistici) – ci si dispone per ciò stesso a “non-trascendere” l'ente (verfallen = deiezione) …
- “trascurando” le cose, gli altri e perfino se stesso - come cose non importanti o inutili - con un atteggiamento di mera 'curiosità', dis-impegno e 'pettegolezzo' che è possibile riconoscere come caratterizzanti il mondo (impersonale) del “si dice, si pensa, si fa”.
4 – La ‘svolta’: ‘storia’ della metafisica come ‘oblio’ dell’Essere.
Negli anni successivi ad “Essere
e tempo” (1927), Heidegger inizia a sottoporre a una profonda rilettura
l’intera tradizione metafisica occidentale, perché:
- se è vero che l'esser-ci (soggettivo) può passare dalla potenza all'atto (intersoggettivo) soltanto grazie all'Essere (oggettivo);
- è anche vero che l'Essere (oggettivo) può passare dalla potenza all'atto (inter-soggettivo) soltanto grazie all'esser-ci (soggettivo) dell'uomo …
Da Parmenide a Nietzsche
(compreso), l’oblio di questa recripoca quanto ineludibile dipendenza ha
infatti spinto:
a) a intendere sia l’esser-ci (come colui “che” chiede)
sia l’Essere (come ciò “a cui” si chiede) come enti “essenti” in se,
piuttosto che come enti “divenenti” l’uno grazie all’altro
(psicologia, cosmologia e teologia come scienze ‘ontiche’).
b) a tradurre le conseguenti certezze in termini
ipostatizzanti come ‘intelletto’ o ‘ragione’, ‘spirito’ etc. che mostrano di “velare”
piuttosto che “dis-velare” il senso dell’Essere allo sguardo dell’esser-ci (‘storia’
della metafisica come ‘oblio’ dell’Essere).
5 – ‘Smarrimento’ (techné) e ‘rammemoramento’ (poiésis) dell’Essere.
Negli anni successivi al secondo
conflitto mondiale, Heidegger perviene a sviluppare ulteriormente tale
prospettiva, invitando:
- a smetterla di “interrogare” quell'Essere che nello spazio (e logicamente) “non” è
- Coscienza umana come coscienza logicamente ‘determinante’ l'Essere … coscienza ancora inconsapevole dell'abisso che separa Essere ed esser-ci (e che proprio per questo giunge a credersi “padrone” dell'Essere stesso);
- 'techné' come ‘nascondimento’ dell’Essere (operato dall'esser-ci);
- per iniziare ad “ascoltare” quell'Essere che nel tempo (e linguisticamente) “si disvela” come altro da se.
- Coscienza umana come coscienza linguisticamente 'determinata dall’Essere … coscienza che, oramai consapevole dell’incolmabilità della distanza che intercorre fra Essere ed esser-ci, si fa “servo” dell'Essere.
- 'poiésis' come ‘dis-velarsi’ dell’Essere (‘allo sguardo’ dell’esser-ci).
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