lunedì 30 aprile 2018


JACQUES DERRIDA


1 – Chi detta e chi scrive.

Su di una tavoletta di età medioevale è raffigurato un filosofo impegnato a 'scrivere' mentre, alle sue spalle, un altro filosofo gli detta 'a voce' cosa scrivere … laddove – mentre sopra colui che scrive troviamo l'indicazione 'Socrates' (e, sopra colui che detta, 'Plato') - noi sappiamo invece che Socrate non ha mai scritto ‘nulla’, e che Platone ha dal canto suo condannato la scrittura perchè giudicata 'dannosa' per la conoscenza.

2 – Il linguaggio come ‘possibilità’ del pensiero.

Non potendo sapere colui che 'scrive' se, colui che 'detta', gli stia trasmettendo una Verità o piuttosto una non-verità, Jacques Derrida (1930-2002) ne deduce:
a) che non è il pensiero a render possibile (cioè a ‘fondare’) il linguaggio ma è invece il linguaggio a render possibile il pensiero;
b) che, nel raffrontare il ‘rappresentatum’ (la realtà come ‘rappresentata’ da chi detta) al ‘rappresentandum’ (la realtà come ‘esperita’ da chi scrive), ognuno ”crea” il suo Se.

E’ solo e per mezzo del linguaggio che, il pensiero di ognuno, 'si presenzia' a se stesso … un “presenziarsi”, questo, che il Derridà colloca heidegerrianamente due diverse assenze, e cioè:
a) l'Essere del nulla come essere temporalmente 'differ-ito' (ciò che è suscettibile di venire intuito nella sua unità/totalità 'formale', anteriore/posteriore a chi suggerisce);
b)il nulla dell'Essere come nulla spazialmente 'differ-ente' (ciò che è suscettibile di venire esperito nella sua pluralità/infinità 'materiale', contemporaneo a chi scrive).



3 – Logo- centrismo (“tertium datur”) e “de-costruzione”.

Diversamente da Heidegger (che legge la metafisica come una storia di “occultamento” progressivo dell’Essere a vantaggio dell’ente), il Derrida vede nella storia della metafisica il racconto di uno ‘scacco’: per esorcizzare la propria caducità e fallibilità, costantemente attestata dall’esperienza, gli scritti di metafisica hanno rappresentato altrettanti tentativi di affermare una sorta di primato della ‘presenza’ (è in fondo affidandosi alla trasmissione di memorie passate e aspettative future che per mezzo delle parole, e a prescindere dalle condizioni materiali, le idee possono reiterarsi e ripetersi nei secoli).

Occorre però tener conto del fatto che, per la coscienza di chi scrive, “tertium datur”, perché il Logos gli si mostra non come una cosa che ‘è’ in qualche luogo o tempo ma, piuttosto, come un qualcosa che “accade” qui o là.

Il Logos mostra cioè:
a) non di “essere” – quasi fosse una ‘presenza’ (e con un valore magari ‘normativo’) - in qualche luogo o istante dello spazio e del tempo;
b) ma di “accadere”, ovvero di ‘farsi’ presente - nella e per la scrittura stessa (“nella” storia) - in ogni 'punto’ o ‘momento' dello spazio e del tempo …

… di qui l’invito a “de-costruire” i testi della Tradizione in modo tale da risalire alle motivazioni per cui, di volta in volta, si è giunti a ‘preferire’ – mediante la sistematica ‘rimozione’ di un terzo - fra voce e scrittura o spirito e corpo, natura e cultura, intellegibile e sensibile, intuizione e significazione, soggetto e oggetto, spirito e materia, essere e divenire, sostanza e accidente, luce e buio, bene e male, etc.

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