JACQUES DERRIDA
1 – Chi detta e chi
scrive.
Su di una tavoletta di età medioevale
è raffigurato un filosofo impegnato a
'scrivere' mentre, alle sue spalle, un altro filosofo gli detta 'a voce' cosa scrivere …
laddove – mentre sopra colui che scrive troviamo l'indicazione 'Socrates' (e, sopra
colui che detta, 'Plato') - noi sappiamo invece che Socrate non ha mai scritto ‘nulla’,
e che Platone ha dal canto suo condannato la scrittura perchè giudicata 'dannosa' per la conoscenza.
2 – Il linguaggio
come ‘possibilità’ del pensiero.
Non potendo sapere colui che
'scrive' se, colui che 'detta', gli stia trasmettendo una Verità o
piuttosto una non-verità, Jacques Derrida (1930-2002) ne deduce:
a) che non è il pensiero a render possibile (cioè a ‘fondare’)
il linguaggio ma è invece il linguaggio a render possibile il pensiero;
b) che, nel raffrontare il ‘rappresentatum’ (la realtà
come ‘rappresentata’ da chi detta) al ‘rappresentandum’ (la realtà come
‘esperita’ da chi scrive), ognuno ”crea” il suo Se.
E’ solo e per mezzo del
linguaggio che, il pensiero di ognuno, 'si presenzia' a se stesso … un “presenziarsi”,
questo, che il Derridà colloca heidegerrianamente due diverse assenze, e cioè:
a) l'Essere del nulla
come essere temporalmente 'differ-ito' (ciò che è suscettibile
di venire intuito nella sua unità/totalità 'formale', anteriore/posteriore a chi suggerisce);
b)il nulla dell'Essere
come nulla spazialmente
'differ-ente' (ciò che è suscettibile di venire esperito nella sua
pluralità/infinità 'materiale', contemporaneo
a chi scrive).
3 – Logo-
centrismo (“tertium datur”) e “de-costruzione”.
Diversamente da Heidegger (che legge la metafisica come una storia di
“occultamento” progressivo dell’Essere a vantaggio dell’ente), il Derrida vede
nella storia della metafisica il racconto
di uno ‘scacco’: per esorcizzare la propria caducità e fallibilità,
costantemente attestata dall’esperienza, gli scritti di metafisica hanno
rappresentato altrettanti tentativi di affermare una sorta di primato della ‘presenza’ (è in
fondo affidandosi alla trasmissione di memorie passate e aspettative future che
per mezzo delle parole, e a prescindere dalle condizioni materiali, le idee possono reiterarsi e ripetersi nei
secoli).
Occorre però tener conto del fatto che, per la coscienza di chi scrive,
“tertium datur”,
perché il Logos gli si mostra non come
una cosa che ‘è’ in qualche luogo o tempo ma, piuttosto, come un qualcosa che “accade”
qui o là.
Il Logos mostra cioè:
a) non di “essere” – quasi fosse una ‘presenza’
(e con un valore magari ‘normativo’) - in qualche luogo o istante dello
spazio e del tempo;
b) ma di “accadere”, ovvero di ‘farsi’
presente - nella e per la scrittura stessa (“nella” storia) - in ogni 'punto’ o
‘momento' dello spazio e del tempo …
… di qui l’invito a “de-costruire”
i testi della Tradizione in modo tale da risalire alle motivazioni per
cui, di volta in volta, si è giunti a ‘preferire’
– mediante la sistematica ‘rimozione’
di un terzo - fra voce e scrittura o spirito e corpo, natura e cultura,
intellegibile e sensibile, intuizione e significazione, soggetto e oggetto,
spirito e materia, essere e divenire, sostanza e accidente, luce e buio, bene e
male, etc.