venerdì 23 settembre 2016



IMMANUEL KANT - LA RAGION "PRATICA"


1 - Formalità della legge morale: dall’al-di-qua all’al-di-là dell’esperibile.

Rispetto alla ragion ‘pura’, la prospettiva della ragion ‘pratica’ risulta in certo qualmodo ‘rovesciata’ perché:
  • la conoscenza umana, risulta tanto più ‘scientifica’ quanto meno ‘prescinde’ dall’empirico … : assumendo – a soggetto degli enunciati di verità – soltanto ciò che è ‘al di quà’ di esso (“l'acqua bolle a 100 gradi centigradi” = giudizio scientifico, ma “Dio esiste” = giudizio non scientifico);
  • la volizione umana, risulta tanto più ‘etica’ quanto più ‘prescinde’ dall’empirico … : assumendo – a oggetto delle norme comportamentali – soltanto ciò che è ‘al di là’ di esso (“è bene perseguire la Giustizia” = giudizio etico, ma “è bene bere di tanto in tanto” = giudizio non etico).
Importante precisare che, con tale rovesciamento, il filosofo ha inteso sottolineare:
  • non tanto la necessità, da parte della volontà umana, di evitare ‘sempre e comunque’ di farsi condizionare da un qualsivoglia contenuto esperienziale particolare;
  • quanto piuttosto la possibilità, da parte di tale volontà, di continuare a ‘mantenersi libera’ di scegliere da sé i contenuti esperienziali da cui farsi, di volta in volta, determinare.

2 – Categoricità della legge morale: la distinzione fra massime e ‘imperativi’.

Le norme comportamentali cui è possibile attenersi (nel decidere il quando, il dove e il come agire) vengono innanzitutto distinte da Kant in due diversi tipi, e cioè:
  • massima che - ‘dipendentemente’ dalla sua volontà (= soggettivamente) – ognuno è 'libero' di far propria o meno (es. “sii cauto”, oppure “fatti furbo”);
  • imperativo che - ‘indipendentemente’ dalla sua volontà (= oggettivamente) – ognuno è 'necessitato' a far propria (es. “occorre agire sempre secondo giustizia”).
Ora, il secondo tipo di norme - gli imperativi - possono venire ulteriormente divisi in:
a) ‘ipotetici’ che – indicando il ‘fine’ da perseguire (il contenuto da volere) – vincolano’ la volontà, costringendola di fatto a scegliere i mezzi più appropriati per perseguirlo;
  • imperativi (razionali) la cui forma è “se si vuole … allora si deve …” (ad esempio: “se vuoi arrivare a Roma, allora devi prendere il treno”);
b) imperativo ‘categorico’ che – non indicando alcun contenuto da volere (alcun 'fine' da perseguire) ‘non vincola’ in alcun modo la volontà, lasciandola di fatto libera di scegliere, con il fine, i mezzi più appropriati.
  • imperativo (etico) la cui forma è “se tutti facessero … allora il mondo sarebbe …” (o, per dirla con Kant, “si può … e, quindi, si deve … ”).
E’ quindi possibile comprendere se un determinato modo di agire sia etico (o meno) semplicemente chiedendosi come 'diverrebbe' il mondo se ‘tutti’ lo condividessero (o meno): così, ad esempio, come diventerebbe il mondo se tutti amassero, se tutti rubassero, etc.? (occorre sempre agire “in modo tale che, la massima della propria azione, possa essere elevata a principio di una legislazione universale”).



3 – Autonomia della legge morale: critica alle etiche “etero-nome” e regno “dei fini”.

Per Kant, solo l’imperativo categorico può “fondare” un'etica realmente condivisibile: posto che esso abbia la forma del “se vuoi … (spazio A = fine), allora devi… (spazio B = mezzo)”, s’impone infatti come un “un fatto” della ragione (un “a-priori etico”) che - affinchè ogni singolo individuo continui a restar libero di decidere da se’ cosa porre nello spazio B (quale mezzo) - ogni altro individuo continui ad evitare di indicargli il ‘cosa’ porre nello spazio A (quale fine).

Di qui:

a) il rifiuto dei tutte le concezioni “etiche” tradizionali, definite da Kant “etero-nome” perchè – con una ‘mal direzionata’ intenzione - riconoscono il 'fine' della libertà in 'altro' dalla libertà stessa.
  • Si tratta di concezioni incentrate sul soddisfacimento:
A) dell'io (il 'piacere' dei sensi, la ‘felicità’ dell'anima);
B) della propria dimensione naturale (la 'bellezza' estetica, la 'forza' fisica) o sociale (la 'giustizia' impersonale, l’utile' collettivo);
C) di un Assoluto (Dio come somma Giustizia, o Bene Sommo).

b) l'individuazione di un supremo “Regno dei fini” cui informare – in vista di una “pace perpetua” fra i popolitutte le azioni (e le decisioni) politiche future.
  • Si tratta di quella sorta di mondo “ideale” in cui ci troveremmo se – continuando tutti ad evitare d'indicare (a ognuno) i fini da perseguire – ognuno continuerebbe a restar libero (da tutti) di scegliere da sé i mezzi da adottare. 

4 – I ‘postulati’ della ragion pratica.

Affinchè la libertà umana giunga ad auto-determinarsi sul piano storico, o fattuale (cioè ‘nello’ spazio e ‘nel’ tempo), è necessario ‘postulare’:
·         l’esistenza di Dio;
·         la stessa libertà;
·         l'immortalità dell’anima;

… in quanto – con una intenzione ‘ben direzionata’ (e per ‘dimostrarsi' degni di una ‘meritata’ santità) - è necessario 'postulare' l'esistenza (spaziale), la perseguibilità (senza ostacolo alcuno) e la conseguibilità (temporale) di una 'corrispondenza' del binomio Virtù/vizio con il binomio Bene/male.


IMMANUEL KANT - LA RAGION "PURA"

Cenni biografici.

1724-1747: nasce a Konigsberg, nella Prussia orientale, da una famiglia di modesti artigiani, e viene inviato a studiare presso il severo ‘Collegium Federicianum’, dove ha modo d’interessarsi in particolare di matematica e fisica, logica, filosofia e teologia;
1748-1780: negli anni degli studi universitari (durante i quali sposta l’attenzione dal razionalismo continentale all’empirismo inglese), si mantiene con una libera docenza presso famiglie di nobili e borghesi, non celando però le proprie ‘simpatie’ per i moti rivoluzionari;
1781-1804: scrive le tre ‘critiche’ (in cuiportando la ragione “innanzi al tribunale” della ragione stessa, cerca di rispondere alle ragioni del ‘declino’ della metafisica classica, e della parallela ascesa del sapere sperimentale), accanto a scritti 'minori' dedicati alla storia e alla 'pace perpetua'.


1 – La ‘teoria dei giudizi’ (logica, scienze empiriche e matematica).


Kant vuole scoprire percè il sapere dialettico-speculativo ha continuato a “girare a vuoto” mentre, quello scientifico-tecnologico, ha invece continuato a progredire “indefinitamente” ... e, per fare ciò, inizia con l’esaminare i giudizi assertivi o enunciati ‘di verità’, di cui si sostanziano i saperi ‘certi’ della logica, delle scienze empiriche e della matematica.

I giudizi del tipo “A è non-B” (logica) sono:
·         ‘apriori’ (convalidabili indipendentemente dall’esperienza);
·         ma ‘analitici’ o ‘non-estensivi’ della conoscenza (ciò che viene espresso per mezzo del predicato, “non-B”, è già incluso in ciò che viene espresso per mezzo del soggetto, “A”).
I giudizi del tipo “questo tavolo è di legno” (scienze empiriche) sono invece:
·         ‘sintetici’ ovvero ‘estensivi’ della conoscenza (ciò che viene espresso per mezzo del predicato, “di legno”, non è incluso in ciò che viene espresso per mezzo del soggetto, “tavolo”);
·         ma ‘a-posteriori’ (convalidabili dipendentemente dall’esperienza) …

… laddove, i giudizi del tipo “5+2 = 7” o “La retta è la linea più breve fra due punti”, sono:
·         ‘sintetici’ - o ‘estensivi’ - della conoscenza;
·         e - insieme - ‘a-priori’, sulla base di un 'qualcosa' che non ha a che fare con la sola intuizione (logica) con la sola esperienza (empirica) …


… un qualcosa, questo, che il filosofo identificherà con la ‘mente’ dell’uomo ‘in quanto tale’, 'trascendentalmente' strutturata in modo tale da ‘ordinare’ - cioè 'spazio-temporalizzare' (estetica) e 'giudicare' (analitica) – l'intero ‘orizzonte’ dell'esperibile.

2 – Estetica (‘percezione’ sensibile) e analitica ('giudizio' razionale) trascendentali.

Lungi dall'offrirsi come ‘leges entis’ (= dall’esistere come 'entità' in sé autonome), ‘spazio’ e ‘tempo’ si offrono come ‘leges mentis’ = ‘forme a-priori’ in virtù e per mezzo delle quali, soltanto, l'oggetto viene ‘percepito’ come ‘esistente’ nello spazio e nel tempo … laddove:
  • mentre lo spazio è a fondamento della geometria (permettendo al punto di 'muoversi' e generare la linea, alla linea di 'muoversi' e generare la superficie, etc.);
  • il tempo è invece a fondamento dell’aritmetica (permettendo l'addizione e la moltiplicazione o anche, 'reversibilmente', le opposte operazioni della sottrazione e della divisione).
Lungi dall'offrirsi come ‘leges entis’ (= dall’esistere come 'entità' in sé autonome), le ‘categorie’ si offrono come ‘leges mentis’ = ‘forme a-priori’ in virtù e per mezzo delle quali, soltanto, l'oggetto viene  ‘giudicato’ nei termini della qualità (colore/odore/sapore), della quantità (unità/molteplicità), della relazione (spaziale/temporale) e della modalità (sostanza/attrubiti) …

…laddove, come mere ‘funzioni’ logiche da esplicarsi (o ‘modalità’ di deduzione, quali ad es. la ‘permanenza’ e la ‘successione’, per la Sostanza e la causalità) - tali categorie vengono esplicate dalla mente umana:
  • non ‘indipendentemente’ le une dalle altre o, anche, ‘contemporaneamente’ le une alle altre (che si avrebbe, in tal caso, un io variopinto”);
  • ma all’insegna di un’unica funzione logica fondamentale e unificatrice – cioè ‘ordinatrice’ – che il filosofo chiama io penso” (‘auto-coscienza’, o ‘appercezione’ trascendentale).


3 – Dialettica trascendentale: “necessità” (logica) e “indimostrabilità” (empirica) del Noumenico.

A - I ‘voli’ della ragione metafisica.

Ammettere entità “uti apparent” (= come ‘appaiono’) in virtù e per mezzo delle forme-a-priori (il ‘fenomenico’) implica l’ammettere - a loro fondamento - entità “sicuti sunt” (= quali ‘sono’)  indipendentemente dalle forme-a-priori (il ‘noumenico’) …

… laddove, se assimilassimo:
a) il soggetto che conosce (le forme-a-priori) ad una macchina “che” fotografa;
b) l'oggetto da conoscere (l’insieme delle entità naturali) ad un qualcosa “da” fotografare;
c) e il frutto del processo conoscitivo – ovvero il ‘phainomenon’ - ad una “fotografia”

… dovremmo ammettere che, il ‘noumenico’, è di per se 'problematico', perché al contempo:
·         logicamente 'necessario' (come soggetto o ‘sostrato’ di ogni possibile proprietà);
·         empiricamente 'inesperibile' (è solo come terzo che, il secondo, ‘si mostra’ al primo).


B – Indimostrabilità dei “noumena”.

Per secoli il 'noumenico' si è offerto all’uomo nelle tre diverse modalità dell’anima, del mondo e di Dio ('noumena', appunto) … e se per secoli l’uomo continua a interrogarsi circa la loro natura:
a) non è per una sorta di folle o ‘insano’ amore per una eterna inconcludenza;
b) ma è perché – interessato a comprendere tutte le 'contraddizioni' emergenti dal suo stesso ragionare” (uso “regolativo” della ragione) - solo spingendosi “al di la” del fenomenico può comprendere realmente ciò che si pone “al di qua” del fenomenico stesso (uso “costitutivo” della ragione).

PSICOLOGIA (L'ANIMA).

L'idea – o concetto – di “anima” risulta:
a) logicamente necessaria, come principio unificatore di tutti i fenomeni 'interni';
b) e, al contempo, empiricamente inesperibile = come “soggetto” di conoscenza, la ragione umana non può assumere, a “oggetto” di conoscenza, quelle stesse forme a-priori 'per mezzo delle quali' conosce (sarebbe come se, ‘per mezzo’ di una macchina fotografica, si volesse 'fotografare' la macchina fotografica stessa).

COSMOLOGIA (IL MONDO).

L'idea – o concetto - di “mondo” risulta:
a) logicamente necessaria, come principio unificatore di tutti i fenomeni 'esterni';
b) e, al contempo, empiricamente inesperibile = l’assumere a ‘soggetto’ di un giudizio ciò che si pone ‘oltre’ l’esperibile porta la ragione a scontrarsi con una serie di tesi fra loro opposte ... tesi, queste, che Kant chiama ‘antinomie’ perchè - incentrate come sono su 'termini' privi’ di ogni ‘riferimento’ alla ‘esperienza’ concreta - suscettibili di venire confermate o smentite con argomentazioni di 'eguale' valore.

Tali antinomie sono:
·         il mondo ha /non ha un inizio e una fine (temporalità/eternità);
·         ogni composto è /non è riducibile a parti (infinitezza/finitezza);
·         agisce / non agisce un 'principio' di causalità (necessità/libertà);
·         esiste / non esiste un Essere 'assoluto' (legalità/arbitrarietà).

TEOLOGIA (DIO).

L'idea – o concetto - di Dio risulta:
a) logicamente necessaria, come principio unificatore di tutti i fenomeni, ‘interni' ed 'esterni';
b) e, al contempo, empiricamente inesperibile = Kant riconduce tutti i tentativi di dimostrare l'esistenza di Dio alle seguenti tre ‘prove’:
  • prova ontologica (pensiero di Dio = realtà di Dio): l’esistenza è una 'proprietà' reale (da esperirsi empiricamente) e non un 'predicato' concettuale (da attribuirsi/misconoscersi logicamente);
  • prova cosmologica (Dio come Causa prima): come principio ordinatore (o a-priori) dell'Io penso, il principio di causalità risulta applicabile 'entro' - e non 'oltre' - l'orizzonte dell'esperibile.
  • prova teleologica (Dio come Sommo bene): si da per esperibile un qualcosa (l'ordinamento naturale del creato) per poi imputarlo a un qualcosa di inesperibile (l'attività ordinatrice del Creatore).

giovedì 22 settembre 2016

ROUSSEAU, BECCARIA e SMITH

1 – Rousseau: un filosofo ‘controcorrente’.

Nei due “Discorsi” (sulle scienze e le arti, e sull’origine e i fondamenti della diseguaglianza),  Rousseau entra in polemica con tutti gli altri illuministi affermando che, il passaggio dalla condizione ‘naturale’ alla condizione ‘culturale’, è passaggio:

  • non dalla barbarie primitiva alla civiltà moderna (dalla falsità alla ‘verità’ secondo la teoresi greco-romana, dal vizio alla ‘virtù’ secondo l’etica giudaico-cristiana, etc.);
  • ma da una condizione di ‘purezza’ originaria (corporeità al servizio delle proprie menti) a una condizione di ‘corruzione’ attuale (corporeità al servizio di altrui menti).


2 – Rousseau: i “Discorsi” (‘progresso’ storico come ‘regresso’ umano).

- LA CONDIZIONE NATURALE: AMORE E COMPASSIONE

Nella condizione ‘naturale’ (“quale esce dalle mani di Dio”), ogni individuo è mosso ad essere e ‘possedere’ tanto quanto ogni altro (è cioè buono e onesto) perché mosso da:
a) un “istintivo amore” verso se stesso, che lo porta a ‘soddisfare i bisogni’ connessi all'auto-conservazione e alla ri-produzione (“il cibo, la femmina e il dormire”);
b) una “benevola compassione” verso gli altri, che lo induce a ‘rifiutare la sofferenza’ e la morte di ognuno “come fossero la sua stessa sofferenza e la sua stessa morte”.

- LE ‘RAGIONI’ DEL PASSAGGIO

Come per Machiavelli ed Hobbes, a segnare la fine di questa condizione è la consapevolezza della “'imprevedibilità”' degli eventi: per motivi del tutto casuali (carestie o alluvioni, terremoti, o anche migrazioni di popoli, guerre, etc.) possono, in qualsiasi momento, 'diminuire' le risorse a disposizione o 'aumentare' le bocche da sfamare ... : e – scoprendosi naturalmente ‘fragile’ (oscillante fra bisogno e soddisfacimento) – ognuno tende razionalmente a dotarsi dei mezzi utili a ottenere i propri fini.

- LA CONDIZIONE STORICA: I ‘LIVELLI’ DELLA DISEGUAGLIANZA

Nello stato 'culturale’ (“quale degenera nelle mani dell’uomo”), gli individui appaiono invece mossi a possedere e ‘apparire’ più di altri individui, responsabili e al contempo vittime:
  • di una inefficace ‘divisione’ delle mansioni lavorative (forti e deboli);
  • di una ineguale ‘retribuzione’ delle ricchezze prodotte (ricchi e poveri);
  • di una ingiusta ‘codificazione’ dei diritti riconosciuti (liberi e servi).

3 – Rousseau: il “Contratto sociale” (la ‘volontà generale’).

Nel “contratto sociale” (1761), la ‘soluzione’ appare affidata agli stessi esseri umani, perchè:
a) se la volontà di possedere più di altri mostra di “avere” origine da più volontà particolari che ‘si escludono’ vicendevolmente (una volontà, questa, che di per se stessa meriterebbe la condanna al bando dalla comunità);
b) la volontà di ‘possedere’ tanto quanto gli altri mostra invece di “dare” origine ad un’unica ‘volontà generale’ che, essendo nell’interesse “di ognuno” (in quanto interesse delle maggioranze), sola può permettere “a tutti” di continuare a obbedire “solo a se stessi" …

… laddove:
  • se è nei termini di un ‘liberalismo’ democratico che, il patto, mostra di vincolare le volontà particolari dei singoli parlamentari alla volontà generale del popolo (incentrata sulla necessità di separare, per il Bene comune, uffici pubblici e interessi privati);
  • è però nei termini di un ‘totalitarismo’ comunitario che, lo stesso patto, mostra di vincolare le volontà particolari dei singoli cittadini alla volontà generale del parlamento (esposta alla possibilità di unire, per il proprio utile, interessi privati e uffici pubblici).

4 – Beccaria: “Dei delitti e delle pene”.

Per Cesare Beccaria (1738-1794), ogni Stato dovrebbe ricorrere alla Legge per dimostrare:
a) non la sua pura e semplice “presenza” fisica (lo Stato che, a delitto oramai commesso, si limita a intervenire materialmente ... infliggendo la pena anche senza indagini preliminari, o senza considerare in sede processale il quando, il dove o il come);
b) ma la sua intrinseca “razionalità” (lo Stato che, a delitto non ancora commesso, lo “previene” razionalmente ... rapportandogli la pena, indagando preliminarmente e considerando in sede processuale le condizioni attenuanti accanto a quelle aggravanti).



5 – Smith: politica ed “economia” (scambio e moneta).

Nello stato di natura:
a) lungi dall’essere impegnati a sopprimersi o a derubarsi a vicenda (una idea, questa, che avrebbe implicato l’accettare il rischio, troppo alto, di subire la stessa sorte per mano di tutti gli altri) ...
b) ... ogni individuo si specializza nel fare qualcosa (in ogni, Comunità, nessuno può fare tutto e ognuno deve, pertanto, fare qualcosa), per poi scambiare ciò che ha con chi ha più, o meglio, da scambiare

Nello Stato di diritto:
a) l’Autorità “si materializza” (come dal nulla) allorchè – imprimendo su metallo un determinato “valore” e una determinata “provenienza” (la moneta) – un soggetto stabilisce un “comun denominatore” per render possibile ogni possibile scambio ...
b) ... e sguinzaglia i suoi funzionari (l’apparato statale) sul territorio, perché gli si renda conto di monete contraffatte, chieste “in eccesso” dai creditori (interessi ‘sul’  deposito) o restituite "in difetto” dai debitori (scadenza ‘del’ prestito).


6 – Smith: le teorie “tradizionali” (fisiocrazia e liberalismo).

Frutto maturo dell’espansione coloniale (gli Stati, come soggetti pubblici, sono impegnati ad estendere i loro territori) e della 1° rivoluzione industriale (le Imprese, come soggetti privati, sono impegnate ad allargare i loro mercati), Adam Smith afferma che la ricchezza di una nazione deriva:
a)    non dal ‘possesso’ delle materie prime suscettibili d’esser trasformate in prodotti finiti (agricoltura, allevamento e miniere);
- a dover prevalere è il diritto aristocratico (in declino) all’amministrazione padronale e alla trasmissibilità ereditaria di contee, ducati e marchesati.
b)    ma dalla ‘trasformazione’ delle materie prime in prodotti finiti (con conseguente priorità degli ‘strumenti’ trasformativi);
- a dover prevalere è il diritto borghese (in ascesa) alla “libera contrattazione” delle condizioni produttive (di tempo, luogo e salario).

7 – Smith: le “leggi” del mercato (domanda e offerta).

Nell’opera “La ricchezza delle nazioni" (1776), egli intende dimostrare:
a) che l’economia è una ruota che “gira da sé” (“mano invisibile”), e lo Stato deve quindi evitare d’intervenire ad accelerarne o rallentarne il corso (con leggi promulgate, ad hoc, per avvantaggiare un certo tipo di attività imprenditoriali a svantaggio di altri) ...
b) ... e, questo, perché esiste proporzionalità fra la quantità di lavoro necessario a realizzare un Bene e il valore che esso ha sul mercato, così come esiste proporzionalità fra il prezzo del Bene e la quantità  con cui esso viene - sempre sul mercato - “domandato” o “offerto”. 

L'ETA' DEI “LUMI”

  • La ragione come ‘lume’.
Il periodo storico che va dal 1730 al 1790 circa prende il nome di ‘illuminismo’ in quanto, il pensiero filosofico e culturale in genere, vi appare informato ad una concezione della ragione come ‘lume’ atto:
  • da un lato, a ‘rischiarare’ le menti degli individui liberandole dai pregiudizi e dalle superstizioni che le avevano ottenebrate per secoli (lotta ‘borghese’ contro la superiorità ‘clericale’ dell’anima sul corpo, e quella ‘nobiliare’ del lavoro intellettivo su quello manuale);
  • dall’altro, a ‘guidare’ il destino dei popoli verso un futuro di felicità e di benessere generalizzati (valorizzazione del sapere scientitico-tecnologico, che risulta concretamente 'trasformativo', e svalutazione di quello dialettico-speculativo, astrattamente 'contemplativo'). 

  • Origine e diffusione.
Nata in Inghilterra - con l’ascesa del ceto mercantilistico-borghese ('glorious revolution' del 1688) e del sistema di produzione capitalistico-industriale - questa nuova mentalità giunge ben presto a diffondersi:
  • in Italia dove – nel “passaggio” dalla dominazione spagnola (economicamente statica) a quella austriaca (più dinamica) – si risolverà nella proposizione di soluzioni riformistiche 'graduali’ (con i circoli di Firenze, Milano e Venezia, e le riviste del ‘Caffè’, e del ‘Conciliatore’);
  • in Francia dove – a confronto con strutture scocio-politiche ed economiche retrive – si risolverà nell’adozione di soluzioni riformistiche 'radicali' (con la tormentata pubblicazione della ‘Encyclopédie’ di Diderot e D’Alambert, la 'pubblicistica' di Voltaire, e la rivoluzione del 1789-'94);
  • in Germania dove – in assenza di un “potere” centralizzato – si risolverà in una più fredda ma, anche, più proficua 'indagine' sui fondamenti della conoscenza e della volizione umani (con la riflessione di Immanuel Kant, e i fertili presupposti ch’essa tramanderà ai decenni successivi).







L'EMPIRISMO - LOCKE e HUME

John Locke (1632 - 1704).

1) Vive negli anni della “Glorious revolution” (1685-’89).
2) Opere principali: “Saggio sull’intelletto umano” – I due “Trattati sul governo”.


1 - La mente umana come ‘tabula rasa’.

Il Locke sostiene che la “mente” umana è in origine una “tabula rasa” (un ‘foglio bianco’), e come tale predisposta ad “accogliere” ogni possibile contenuto non mai da Dio ma, sempre:
a)    ora dal ‘mondo’ naturale, come frutto di percezione ‘passiva’ dei sensi (idee ‘di sensazione’, o idee ‘semplici’, non ulteriormente scomponibili);
b)    ora dalla ‘mente’ stessa, come frutto di deduzione ‘attiva’ della ragione (idee ‘di riflessione’, o idee ‘complesse’, ulteriormente scomponibili).

2 – Idee semplici ('di sensazione') e idee complesse ('di riflessione').

Le idee semplici – o ‘di sensazione’ – 
hanno origine dalla percezione (sensibile) di:
  • qualità primarie – o ‘oggettive’ - esistenti ‘indipendentemente’ dal contatto degli oggetti con il soggetto conoscente (materia e movimento);
  • qualità secondarie – o ‘soggettive’ - esistenti ‘dipendentemente’ dal contatto degli oggetti con il soggetto conoscente (colori, odori e sapori).
Le idee complesse – o ‘di riflessione’ – – derivano invece (razionalmente) dalle prime, e si suddividono in:
  • ‘sostanze’ = i ‘soggetti’ - ontologici o logici che siano - quali 'portatori' (necessari) di determinazioni (possibili);
  • ‘modi’ in cui – in termini d'identità e non-contraddizione aritmo-geometrica – sostanze e determinazioni vengono messe ‘in connessione’ fra loro;
  • ‘relazioni’ = di tipo ‘spaziale’ (lontananza e vicinanza), ‘temporale’ (simultaneità e successione) e ‘causale’ (causa ed effetto).


3 – La critica al ‘concetto’ (metafisico) di Sostanza.

Locke mette in dubbio il fatto che:
  • come è possibile dedurre l'esistenza di un soggetto 'agente' dall'esperienza di un'azione 'agita' (il 'camminare' presuppone un soggetto 'che' cammina);
  • così sia possibile dedurre l'esistenza di un soggetto 'possidente' dall'esperienza delle proprietà 'possedute' (l'essere bianco, alto etc. presuppone un soggetto 'che' è bianco, alto etc.) … 
… e questo perchè, pur essendo “logicamente” necessaria (come supporto o 'sostrato' ultimo di qualità che non possono essere intese come esistenti ‘indipendentemente’ da essa), la “Sostanza” – centrale in tutta la speculazione metafisica classica - risulta al contempo “empiricamente” inesperibile.

4 - I “Trattati sul governo” (Proprietà - divisibilità del potere e reversibilità del contratto).

Nei “Trattati sul Governo” (1690),
  • il riconoscere ciò che è ‘natura' (soggettiva) nel diritto alla ‘proprietà’;
  • comporta l’accettare come (inter-soggettivamente) 'ragionevole’ il recedere dal proprio desiderio di giustizia
  • … in cambio dell’assicurazione che, anche gli altri, facciano altrettanto nei propri confronti.
INCONVENIENTE DELLO STATO DI NATURA – Avendo ognuno diritto ‘a qualcosa’ (come frutto legittimo del proprio lavoro) … per preservare le sue 'proprietà', ognuno potrebbe “privare” delle proprietà ogni altro … : esponendosi in al rischio di venirne - senza equilibrio o “misura” alcuna - a sua volta privato.

PASSAGGIO ALLO STATO DI DIRITTO – Occorre pertanto che si affidi ad un’autorità sovra-individuale (lo ‘Stato’) il compito di preservare - mediante l’esercizio esclusivo della 'giustizia' (le diverse magistrature) - l’eguaglianza fra tutti i cittadini.

… una prospettiva, questa, nella quale:
  • il contratto è ‘reversibile’ (perché, ‘dipendentemente’ dal livello d‘imparzialità mostrato dallo Stato, frutto di un patto fra i cittadini e lo Stato stesso);
  • tre poteri devono essere ‘divisi’ (‘dividere’ i poteri equivale, per Locke, a porre i poteri in condizione di ‘limitarsi’ a vicenda);
  • è prevista una carta costituzionale (l’autorità statuale non è ‘superiore’ alle leggi e non può, quindi, mutarle senza il consenso dei cittadini). 

David Hume (1711 - 1776).

1) Vive negli anni della “Guerra dei 7 anni” (1756-’63).
2) Opere principali: “Trattato sulla natura umana” - “Ricerche sui principi della morale”.

1  - ‘Impressioni’ e ‘idee’ (il ‘principio associativo’).

Come già il Locke, anche Hume nega la possibilità di un sapere ‘innato’ (il sapere è sempre ‘acquisito’) e distingue ogni possibile contenuto della mente umana in:
  • idee ‘di sensazione’ che - non ulteriormente scomponibili - egli chiama però ‘impressioni’ (e che la mente tende, istintivamente, a ‘organizzare’);
  • idee ‘di riflessione’ che - ulteriormente scomponibili - egli definisce semplicemente ‘idee’ (e che la mente tende, razionalmente, a 'nominare’).
Diversamente dal Locke, Hume precisa però che, impressioni e idee:
  • si differenziano soltanto per il diverso ‘grado’ di forza o vivacità con il quale ‘colpiscono’ la mente umana (le idee non sono altro che ‘copie illanguidite’ delle impressioni);
  • vengono messe ‘in connessione’ fra di loro in base ai soli criteri – associativi - della ‘somiglianza’ (il gatto che richiama una tigre), della contiguità’ spazio-temporale (una casa che richiama una persona che vi abita) e della ‘causalità’ (un fulmine che richiama il fuoco).


2 - Non-contraddizione (logica) ed esperienza (fattuale).

Nelle ‘verità di ragione’ (proprie del linguaggio matematico) i segni rimandano ad entità (numeri e figure) che si pongono su quel piano puramente 'logico' del pensiero umano sul quale, il verificarsi di verità ‘contrarie’ a quelle che si verificano ‘di solito’, non è ‘mai’ possibile.
a)    non è mai possibile che gli angoli interni di un triangolo diano - in un dato momento - una somma ‘diversa’ da 180° (verità 'di ragione').

Nelle ‘verità di fatto’ (proprie delle scienze empiriche) i segni rimandano invece ad entità (minerali, vegetali, animali, etc.) che si pongono su quel piano  fattualmente 'ontologico’ della realtà naturale sul quale, il verificarsi di eventi ‘contrari’ a quelli che si verificano ‘di solito’, è ‘sempre’ possibile.
b)    è sempre possibile che, in 'un' bel mattino, il sole non sorga come – solitamente - ci si attenderebbe 'ogni' mattina (verità 'di fatto').

3 - La critica al ‘principio’ (scientifico) di causalità.

Hume nega il concetto di 'causalità' - a fondamento delle scienze empiriche - così come il Locke nega il concetto di ‘sostanza’ (a fondamento della speculazione metafisica): … per affermare, di contro, ch’esso rappresenta il frutto di una mera (quanto arbitraria) ‘deduzione’ logica.

Infatti, il ‘ri-proporsi’ (nel presente) di determinate connessioni di causa ed effetto aumenta:
  • non la possibilità’ fattuale (o fisico-naturale)
  • ma la ‘credenza’ umana (o psicologico-razionale)
che tali connessioni ‘debbano’ riproporsi (in futuro) ‘così come’ si sono proposte (in passato).

In altre parole il numero, sempre 'finito', dei casi ‘osservabili’ (1, 2, 3…100.000…o un milione di 'casi') non è mai corrisposto né mai corrisponderà al numero - 'infinito' – di tutti i casi ‘possibili’ (la 'totalità' dei casi) … e - se l’uomo mostra una insopprimibile propensione a trasformare il ‘post hoc’ (successione ‘esperita' per via sensibile) in un ‘propter hoc’ (causalità dedotta’ per via razionale) - è solo perchè:
  • il 'credere' (= belief) nel riproporsi – in eterno – delle medesime connessioni di causa ed effetto (come fossero connessioni necessarie, piuttosto che possibili);
  • equivale per lui al 'rassicurarsi' circa l'uniformità e costanza – ovvero circa l'immutabilità – delle leggi naturali (che sottendono al mondo in cui vive e convive).


4 – Sentimento e ragione: empatia, compassione e simpatia.

Hume afferma che il rapporto fra sentimento e ragione va rovesciato: perché non è il fine (perseguibile) a indicare i mezzi, ma sono al contrario i mezzi (disponibili) a indicare il fine. Così, ad esempio, è il desiderio di scalare una montagna (o di fare viaggi molto lunghi e costosi) che spinge a procurarsi chiodi e corde (o un lavoro molto redditizio), e non viceversa.

A primo acchito, questo approccio sembra implicare una morale “egoistica” ... ma, a un'analisi più attenta, esso si risolve in una concezione “altruistica” delle relazioni sociali, perchè:
  • è proprio quando si smette di credere che Bontà e Gistizia sono una volta e per tutte – o eternamente - esistenti “in sé” (è sempre “per me” che un qualcosa è buono o giusto);
  • che ci si inizia a interrogare circa ciò che di volta in volta – o temporalmente - risulta tale anche “per gli altri” (sono empatia, compassione e simpatia a “cementare” la socialità) ...
… laddove:
a) l’ingiustizia della Storia è dovuta al fatto che, le risorse, sono presenti in natura mai in modo (qualitativamente) ‘gratuto’ e sempre in modo (quantitativamente) ‘limitato’;
b) agire “con giustizia” eqivale all’evitare che, di tali risorse, si possa fare un cattivo utilizzo (a livello individuale), o si abbia una distribuzione iniqua (a livello collettivo).