‘DEMOCRAZIA’ E ‘SAPERE’
L’ETA’ PERICLEA.
L’Atene in cui fiorisce la speculazione sofistica (età di
Pericle, 461-421 a.c.) è la città che:
a) guida vittoriosa una Grecia di 'liberi' contro i ‘barbari’
persiani (guerre 'persiane’);
b) e prospera, rispettata e temuta, su tutte le genti
del Mare Egeo (477 – 430 a.c.);
c) per poi dover cedere il passo all’egemonismo di Sparta
(guerre 'peloponnesiache’).
L’età di Pericle, in particolare, viene ricordata come quell’età
nella quale:
a) essendo la vita della “poleis” basata sempre meno
sui vecchi valori ‘aristocratici’ della nobiltà (sangue e forza fisica)
e sempre più sui nuovi valori ‘democratici’ della borghesia (ricchezza ed
educazione morale);
b) si chiede ai cittadini di 'partecipare', in modo libero e responsabile, alle 'discussioni' attinenti
problematiche d’interesse comune
(preservamento o innovazione delle usanze tradizionali, giustizia, guerra e
pace etc.).
DEMOCRAZIA ANTICA E MODERNA.
Da un lato, come poi avverrà in tutte le democrazie moderne,
anche in quella periclea si richiedeva:
a) di venire in possesso di specifiche conoscenze teoriche, competenze e capacità
pratiche (emerge cioè, per la prima volta, la problematica educativa);
b) per affrontare
una qualsiasi questione economica (comprare/vendere nei
mercati), sociale ('gestire' le relazioni con coniuge e figli) o politica
(accusare/difendersi nei tribunali);
c) facendo valere in modo persuasivo o
convincente, cioè con opportune “argomentazioni”, il
proprio punto di vista su quello altrui (valorizzazione dell’eloquenza).
D’altro lato, la democrazia ateniese non è però in alcun modo
rapportabile a quella moderna in quanto:
a) democrazia ‘diretta’ piuttosto che
rappresentativa (ogni cittadino vi è coinvolto, indipendentemente dal censo, in
modo diretto, cioè senza delega alcuna);
b) democrazia a suffragio ‘ristretto’ piuttosto che
universale (ne erano esclusi gli schiavi, provenienti per lo più dalle
popolazioni limitrofe, e le donne).
CENTRALITA’ DELLA RETORICA.
Trattandosi di convincere o persuadere gli altri a “condividere”
la propria opinione, viene ad assumere un’importanza centrale la retorica, cui
dobbiamo:
- la distinzione – sostanziale - fra ciò “di cui” si dice e ciò che, invece, “se ne” dice (il soggetto di un qualsivoglia discorso può infatti essere un soggetto "ontologico" di proprietà da esperire, ma anche un soggetto "logico" di predicazioni da intuire);
- l’articolazione – formale - del discorso nelle tre diverse “parti” della inventio (l’ideazione delle tesi da esporre), della dispositio (la successione sintattica con cui esporre le tesi) e della elocutio (la cura sematica dei termini cui ricorrere nell’esposizione).
Va inoltre aggiunto che, a partire da Platone ed Aristotele (e
almeno fino all'età umanistica e rinascimentale), è pesato sui filosofi sofisti
un pregiudizio, legato al fatto ch’essi chiedevano denaro in cambio del loro sapere
… laddove:
a) se la verità è 'una' ed ‘uguale’ per tutti (= 'unica' la strada
da percorrere per giungervi), ingiustificato risulta 'selezionare’ fra chi avrebbe diritto di accedervi e
chi invece no;
b) se le verità sono ‘più’
e ‘diverse’ per ognuno
(= 'molteplici’ le' strade per accedervi), giustificato risulta porre gli
individui in grado di giungervi "prima" e/o "meglio" di altri.
PROTAGORA DI ABDERA
TRA FENOMENISMO E RELATIVISMO.
Cacciato da Atene per una esplicita dichiarazione di agnosticismo, Protagora di Abdera (480-410 a.c. circa) vi aveva riscosso a lungo successo insegnando che “l’uomo è misura di tutte le cose: di quelle che sono in quanto sono, e di quelle che non sono in quanto non sono”.
Con tale enunciato, il filosofo intendeva probabilmente
sostenere:
a) che l’uomo è l’unico metro o “soggetto di giudizio” della
realtà a lui esterna;
- diversamente da ogni altro essere vivente, l’essere umano è l’unico interessato a “formulare enunciati” di verità circa la 'natura' sostanziale (ovvero l’essere) e le 'determinazioni' qualitative (le caratteristiche) – o anche circa bontà, bellezza, utilità, etc. – delle cose che lo circondano.
b) che, la realtà esterna, viene ad assumere un senso o
significato solo “nell'ottica” dei personalissimi “parametri” di giudizio di ogni individuo.
- ogni singolo individuo ‘percepisce’,
‘pensa’ ed ‘esprime’ secondo sesso o età (uomo o donna,
adulto o bambino), tempo storico (ad es. come
ventenne piuttosto che cinquantenne), luogo geografico (ad es. come
greco piuttosto che fenicio, o egizio), etc.
L’UOMO ‘MISURA’ DELLE COSE.
Per Protagora è vero solo ciò che “appare” vero per me o per te, e non ciò che “è” vero in sé … in particolare egli afferma che:
a) ciò che “è” o “non è”, è tale non per decreto ‘divino’ (per
una qualche imperscrutabile decisione degli déi) o ‘naturale’ (per una qualche intrinseca
conformazione chimica, fisica, o biologica) ma perché, tale, “viene”
ad esser
pensato – e, quindi, “mostrato”
- nel discorso e nella confutazione;
b) in questo “mostrare”, ogni individuo tende a basarsi non tanto
sulla oggettiva “evidenza” esperienziale quanto, piuttosto, sulla “sensazione”
soggettiva (perché
in un certo modo a lui ‘appare’) o su di un “opportunismo” altrettanto
soggettivo (perché in un certo modo a lui ‘conviene’ intenderlo).
Così, ad esempio:
- un medesimo cibo può risultare dolce o amaro a seconda delle circostanze in cui ci si trova ad assumerlo (un caffè, ad esempio, ingerito dopo un dolce, o sorseggiato dopo un biscotto);
- uno stesso fatto può risultare propizio o infausto a seconda del contesto socio-culturale cui si appartiene (il bianco è colore simbolo di felicità in Europa, ma di lutto in Oceania);
- una certa soluzione politica può risultare gradita o meno a seconda che intacchi, o meno, gli ‘interessi’ del ceto (economico) o della classe (sociale) di appartenenza.
L’UTILITA’ INTER-SOGGETTIVA.
Dal prospettivismo di Protagora come, anche, da altri sofisti ‘relativisti’ (in seguito accusati della decadenza morale e civile di Atene) fu spinto a prendere le distanze lo stesso Pericle, perché:
a) se è vero che esistono non ‘una’ (oggettiva) ma ‘tante’
(soggettive) verità …
b) alla luce di quale “criterio” è possibile “scegliere” circa
ciò che è bene o giusto per tutti ?
Nel tentativo di riavvicinarsi al democratico Pericle (e ancora
inconsapevole del fatto che i suoi libri saranno egualmente bruciati nella
pubblica piazza), Protagora risponderà a tale domanda affermando che è
possibile selezionare fini e
mezzi (e prendere le relative decisioni) alla luce:
- non di ciò che risulta buono o giusto per questo o quell'individuo particolare;
- ma di ciò meglio ‘concilia’ l’interesse del singolo con quello ‘comune’ (priorità dell'utile).
GORGIA DI LENTINI
RELATIVISMO GNOSEOLOGICO E LINGUISTICO.
Gorgia di Leontini (490-390 a.c. circa) asserisce infatti che:
a) l'Essere assoluto non può venir 'accertato' né come esistente
né come non-esistente … se non a rischio di 'cadere' in vuote ‘contraddizioni’
(come il non-essere, anche l’Essere ‘non è’);
- (come è possibile
“dire” che il non-essere non è “senza” esperirlo come un qualcosa ?)
b) se anche qualcosa di questo Essere esistesse,
esso risulterebbe ‘impensabile’ … perchè, i ‘concetti’ che sostanziano
di sé il pensiero umano sono ben altro dalle ‘entità’ ch’essi vogliono denotare;
- (un cavallo che vola, ad esempio, “non-è” nella realtà ma potrebbe però “essere” nel pensiero)
c) se anche qualcosa di questo Essere fosse pensabile, esso
risulterebbe ‘incomunicabile’ … perchè le ‘parole’ che sostanziano
di sé il linguaggio sono ben altro daille ‘entità’ ch’esse vogliono esprimere.
- (la parola amore “indica”
convenzionalmente l’amore, ma “non-è” essa stessa l'amore).
TRA FILOSOFIA DELLA SCIENZA E FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO.
In Gorgia, il relativismo risulta ancor più radicale che
in Protagora, perché:
- nell’interrogarsi circa la stessa possibilità umana di percepire o pensare – circa la possibilità di “afferrare” - ciò che è Verità (a prescindere dai sensi, ciò che sembra ‘girare’ nella mente di ognuno sembra essere un ‘misto’ d’immagine e parola) ...
- ... relativismo esteso fino a coinvolgere le stesse ‘facoltà’ dell’uomo colte nella loro ‘strutturalità’ (‘percezioni’ sensibili e 'deduzioni’ razionali ma, anche, le parole stesse per mezzo delle quali, sensazioni e concetti, vengono 'comunicati' e, quindi, ‘ereditati’ e 'tramandati’).
Epperò è proprio in questa problematicità che – nell'implicare una 'separazione'
fra Essere, 'pensiero' e linguaggio (Lògos) - si deve riconoscere lo
stimolo principale a distinguere fra:
a)
Essere reale come soggetto
ontologico di proprietà (empiricamente) esperibili;
b)
Essere pensato come soggetto
logico di predicazioni (linguisticamente) comunicabili.
“ENCOMIO DI ELENA”: ‘DESCRIZIONE’
E ‘MANIPOLAZIONE’.
Da un lato, il linguaggio è del tutto impotente nel ‘descrivere’
quella che è la ‘natura’ delle cose:
funzione, questa, resa in seguito possibile dalla distinzione tra uso
‘predicativo’ ed uso ‘copulativo’ del verbo ‘essere’ (introdotta da Socrate e
Platone e ripresa, quindi, da Aristotele);
D’altro lato, il linguaggio mostra però di essere uno strumento
assai potente nel ‘prescrivere’ (e, quindi,
‘direzionare’) i ‘comportamenti’ umani: affidandosi alla potenza ammaliatriche
di ‘modificanti’ (aggettivi e avverbi) e ‘verbali’ non meno che alla valenza musicale
dei ‘nominali’ (pronomi e nomi).
A riprova di quanto detto, nello scritto “Encomio di Elena” il filosofo immagina di assumere le vesti dell’avvocato per difendere una tipica causa ‘persa in partenza’, e cioè dimostrare che la donna ha lasciato il greco Menelao per il troiano Paride:
a) perché vinta dalla volontà di un destino superiore, cui
nessuno può opporsi (il 'fato’ divino);
b) perché costretta con la forza, e contro la sua volontà (il 'caso' naturale);
c) perché “presa d’amore”
(l’amore' umano)…
… in ogni caso, per una colpa ‘non’
sua.
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