venerdì 23 settembre 2016



IMMANUEL KANT - LA RAGION "PRATICA"


1 - Formalità della legge morale: dall’al-di-qua all’al-di-là dell’esperibile.

Rispetto alla ragion ‘pura’, la prospettiva della ragion ‘pratica’ risulta in certo qualmodo ‘rovesciata’ perché:
  • la conoscenza umana, risulta tanto più ‘scientifica’ quanto meno ‘prescinde’ dall’empirico … : assumendo – a soggetto degli enunciati di verità – soltanto ciò che è ‘al di quà’ di esso (“l'acqua bolle a 100 gradi centigradi” = giudizio scientifico, ma “Dio esiste” = giudizio non scientifico);
  • la volizione umana, risulta tanto più ‘etica’ quanto più ‘prescinde’ dall’empirico … : assumendo – a oggetto delle norme comportamentali – soltanto ciò che è ‘al di là’ di esso (“è bene perseguire la Giustizia” = giudizio etico, ma “è bene bere di tanto in tanto” = giudizio non etico).
Importante precisare che, con tale rovesciamento, il filosofo ha inteso sottolineare:
  • non tanto la necessità, da parte della volontà umana, di evitare ‘sempre e comunque’ di farsi condizionare da un qualsivoglia contenuto esperienziale particolare;
  • quanto piuttosto la possibilità, da parte di tale volontà, di continuare a ‘mantenersi libera’ di scegliere da sé i contenuti esperienziali da cui farsi, di volta in volta, determinare.

2 – Categoricità della legge morale: la distinzione fra massime e ‘imperativi’.

Le norme comportamentali cui è possibile attenersi (nel decidere il quando, il dove e il come agire) vengono innanzitutto distinte da Kant in due diversi tipi, e cioè:
  • massima che - ‘dipendentemente’ dalla sua volontà (= soggettivamente) – ognuno è 'libero' di far propria o meno (es. “sii cauto”, oppure “fatti furbo”);
  • imperativo che - ‘indipendentemente’ dalla sua volontà (= oggettivamente) – ognuno è 'necessitato' a far propria (es. “occorre agire sempre secondo giustizia”).
Ora, il secondo tipo di norme - gli imperativi - possono venire ulteriormente divisi in:
a) ‘ipotetici’ che – indicando il ‘fine’ da perseguire (il contenuto da volere) – vincolano’ la volontà, costringendola di fatto a scegliere i mezzi più appropriati per perseguirlo;
  • imperativi (razionali) la cui forma è “se si vuole … allora si deve …” (ad esempio: “se vuoi arrivare a Roma, allora devi prendere il treno”);
b) imperativo ‘categorico’ che – non indicando alcun contenuto da volere (alcun 'fine' da perseguire) ‘non vincola’ in alcun modo la volontà, lasciandola di fatto libera di scegliere, con il fine, i mezzi più appropriati.
  • imperativo (etico) la cui forma è “se tutti facessero … allora il mondo sarebbe …” (o, per dirla con Kant, “si può … e, quindi, si deve … ”).
E’ quindi possibile comprendere se un determinato modo di agire sia etico (o meno) semplicemente chiedendosi come 'diverrebbe' il mondo se ‘tutti’ lo condividessero (o meno): così, ad esempio, come diventerebbe il mondo se tutti amassero, se tutti rubassero, etc.? (occorre sempre agire “in modo tale che, la massima della propria azione, possa essere elevata a principio di una legislazione universale”).



3 – Autonomia della legge morale: critica alle etiche “etero-nome” e regno “dei fini”.

Per Kant, solo l’imperativo categorico può “fondare” un'etica realmente condivisibile: posto che esso abbia la forma del “se vuoi … (spazio A = fine), allora devi… (spazio B = mezzo)”, s’impone infatti come un “un fatto” della ragione (un “a-priori etico”) che - affinchè ogni singolo individuo continui a restar libero di decidere da se’ cosa porre nello spazio B (quale mezzo) - ogni altro individuo continui ad evitare di indicargli il ‘cosa’ porre nello spazio A (quale fine).

Di qui:

a) il rifiuto dei tutte le concezioni “etiche” tradizionali, definite da Kant “etero-nome” perchè – con una ‘mal direzionata’ intenzione - riconoscono il 'fine' della libertà in 'altro' dalla libertà stessa.
  • Si tratta di concezioni incentrate sul soddisfacimento:
A) dell'io (il 'piacere' dei sensi, la ‘felicità’ dell'anima);
B) della propria dimensione naturale (la 'bellezza' estetica, la 'forza' fisica) o sociale (la 'giustizia' impersonale, l’utile' collettivo);
C) di un Assoluto (Dio come somma Giustizia, o Bene Sommo).

b) l'individuazione di un supremo “Regno dei fini” cui informare – in vista di una “pace perpetua” fra i popolitutte le azioni (e le decisioni) politiche future.
  • Si tratta di quella sorta di mondo “ideale” in cui ci troveremmo se – continuando tutti ad evitare d'indicare (a ognuno) i fini da perseguire – ognuno continuerebbe a restar libero (da tutti) di scegliere da sé i mezzi da adottare. 

4 – I ‘postulati’ della ragion pratica.

Affinchè la libertà umana giunga ad auto-determinarsi sul piano storico, o fattuale (cioè ‘nello’ spazio e ‘nel’ tempo), è necessario ‘postulare’:
·         l’esistenza di Dio;
·         la stessa libertà;
·         l'immortalità dell’anima;

… in quanto – con una intenzione ‘ben direzionata’ (e per ‘dimostrarsi' degni di una ‘meritata’ santità) - è necessario 'postulare' l'esistenza (spaziale), la perseguibilità (senza ostacolo alcuno) e la conseguibilità (temporale) di una 'corrispondenza' del binomio Virtù/vizio con il binomio Bene/male.


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