domenica 18 settembre 2016

I PRESOFISTI

LE PRIME “SCUOLE” FILOSOFICHE


Definiti ‘pre-sofisti’ o ‘pre-socratici’ (a seconda che si voglia riconoscere il momento cruciale della filosofia ellenica nella riflessione dei sofisti, o nella figura di Socrate), i primi “filosofi” sono apparsi:
·         nelle colonie dell’Asia minore (gli ionici ‘naturalisti’ ed Eraclito di Efeso)
·         nelle colonie della Magna Grecia (gli ‘eleati’ e Pitagora di Samo);
·         ad Atene (i fisici ‘pluralisti’, altrimenti noti come ‘atomisti’).



GLI IONICI


Gli ionici sono stati i primi a ipotizzare che ‘al di sotto’ - o ‘al di là’ - della molteplicità e mutevolezza di tutto ciò che diviene' (il mondo dell'esistente, così come ‘appare’ ai sensi) - 'permane' una sostanza 'unica ed eterna, che sarà poi definita "arché" (in greco) o “principium” (in latino) … : una sostanza, questa, che determina l’immutabile ed eterno ciclo vitale di nascita-vita-morte di ogni cosa esistente.

Talete (625-547 a.c. circa) è passato alla storia per una serie di aneddoti che lo descrivono:
a) ora astrattamente perso nei suoi pensieri (si narra di come, impegnato a osservare il movimento degli astri, sia d’un tratto caduto in un pozzo, suscitando l’imbarazzante ilarità di una servetta tracia);
b) ora, invece, concretamente previdente (si racconta che, prevedendo un abbondante raccolto di olive, egli abbia affittato tutti i frantoi della regione, per poi sub-affittarli al trascorrere della siccità).

Sul piano filosofico viene menzionato per il fatto di riconoscere il principio d’ogni cosa nell’acqua: … osservando forse - come pure è stato detto da commentatori successivi (fra cui Aristotele) - che tutto “è umido” (tutto ciò che è vitale o organico “si nutre” di umidità).

Anassimene (586-528 a.c. circa) individua il principio di tutte le cose nell’aria o – meglio - nei due opposti processi della ‘rarefazione’ e della ‘condensazione’ dell’aria … volendo con ciò render conto:
a) non soltanto dell'alterazione (qualitativa);
b) ma anche dell’aumento e/o diminuzione (‘quantitativa’) …
… subita dagli esseri nel loro ciclo di nascita, morte e ri-nascita.

Con Anassimandro (610-546 a.c. circa) siamo dinanzi ad una figura per tanti aspetti più problematica delle precedenti, in quanto la sostanza primigenia viene da lui identificata:
a) non tanto con un elemento corporeo o ‘naturale’ ben preciso (acqua, aria, terra o fuoco che sia);
b) quanto, piuttosto, con un qualcosa di infinito e - al contempo – indefinito, e concepito nei termini di una estensione “che tutto abbraccia e governa (‘à-peiron’ = ‘senza-limite’) …

… una estensione, questa, da cui – nei termini di una rottura dell’unità e dell’armonia originari manifestantesi attraverso un processo di separazione e/o opposizione dei contrari (ovvero nei termini di un passaggio dal ‘cosmos’ = ordine, al ‘caos’ = dis-ordine) – sarebbe derivata la molteplicità e mutevolezza di tutto ciò che vediamo, sentiamo e tocchiamo.

ERACLITO DI EFESO

Eraclito di Efeso (535-475 a.c. circa) ribatte ad Anassimandro che il processo di separazione/opposizione dei contrari comporta un passaggio non dal ‘cosmos’ (ordine) al ‘caos’ (disordine) ma, anzi, dal ‘caos’ al ‘cosmos’: e questo perchè è proprio nel separarsi/opporsi fra loro che – tutti i possibili ‘contrari’ (caldo o freddo, salute o malattia, pace o guerra, giustizia o offesa, bianco o nero, etc.) – vengono ad assumere la loro identità/diversità … di senso come, anche, di realtà (la loro ‘ragion’ d’essere).




L’interpretazione dei frammenti eraclitei è resa però problematica dal fatto che, questa identità/diversità (per cui ogni opposto ’viene’ all’esistenza ‘opponendosi’ al suo opposto), è intesa dal filosofo:
  • ora in termini logici (come identità/diversità di concetti ‘pensati’Il filosofo distingue tutti gli esseri umani in “svegli” che, andando fino al nocciolo ‘profondo’ dell’Essere (la verità oggettiva = ‘epìsteme’), si mostrano poi capaci di cogliere tutte le connessioni intercorrenti fra tutte le cose, e “dormienti” che, fermandosi alla ‘superficie’, vivono invece la loro esistenza come in una specie di sogno irreale … in una fascinosa ma ingannevole illusione (l’opinione soggettiva = ‘dòxa’);
  • ora in termini ontologici (come identità/diversità di oggetti ‘reali’) - Il processo di separazione/opposizione dei contrari – cioè l’immutabile ed eterno 'divenire' di ogni cosa (il “Pànta rèi” = “tutto scorre”) - viene descritto da Eraclito con l’immagine metaforica di un fuoco “sempre vivo” … di una “conflittualità” perenne fra gli opposti stessi che appare anteriore a ogni cosa (motivo per cui si afferma, in uno dei frammenti più celebri, che “pòlemos”, ovvero la “guerra”, è la vera origine di tutte le cose).

I PITAGORICI


Pitagora di Samo (570-495 a.c. circa) fonda a Crotone una ‘comunità’ in cui si promuove:
a) una concezione ‘catartica’ del sapere (un sapere cioè che, grazie anche all’osservanza di regole e precetti, e alla pratica di riti purificatori, si mostra capace di liberare le anime degli adepti dal loro eterno peregrinare da una ‘prigione’ corporea all’altra);
b) una concezione conservatrice o aristocratica delle relazioni socio-politiche (motivo per cui furono, assai spesso, cacciati o perseguitati dai contemporanei movimenti progressisti e democratici, oramai in ascesa in tutte le principali città della Grecia e delle sue colonie).




I pitagorici sono stati i primi ad intendere la matematica in termini religiosi e al contempo scientifici, cioè come elaborazione puramente ‘teorica’ - estranea ad ogni forma di applicazione ‘pratica’ (quali potevano essere, ad esempio, la misurazione dei campi, o il calcolo dei debiti e dei crediti) - dei suoi termini fondamentali (il punto e la linea, la superficie, il volume, etc.).
Proprio perché composta da numeri (il ‘numero’ aritmetico viene concettualmente assimilato alla figura geometrica del ‘punto’), la realtà naturale appariva loro – anche per l’alternarsi di giorno e notte, inverno e primavera, nascita e morte, etc. - come un ordinamento informato ad intrinseca armonia (se ‘numerabile’ e ‘figurabile’) o dis-armonia (se non numerabile né figurabile).




Con i pitagorici si affacciano insomma, per la prima volta, due convinzioni fra loro complementari, ovvero:
  • che la realtà (naturale) si ‘offre’, alla ragione umana come un qualcosa di intrinsecamente ‘ordinato’ (informato a equilibrio e armonia fra le parti) - dal moto dei corpi astrali ai cicli vitali di nascita, vita e morte, ogni cosa mostra di ripresentarsi con una certa ‘regolarità’;
  • che la ragione (umana) può ‘esprimere’ questo ordinamento naturale in termini intrinsecamente ‘razionali’ (in termini aritmetici e/o geometrici) - corpi e movimenti possono essere ‘tradotti’ in termini quantitativi (suscettibili d’esser ‘contati’) e vettoriali (suscettibili d’esser ‘figurati’).
Ai pitagorici dobbiamo anche due ipotesi scientifiche che, cadute nell’oblio, saranno poi riprese, e cioè:

  • la teoria elio-centrica secondo la quale è il sole – e non la terra – il centro intorno al quale girano i pianeti (Aristarco di Samo);
  • la teoria cerebro-centrica secondo cui è nel cervello – e non nel cuore – che risiedono le funzioni vitali degli organismi (Alcmeone di Crotone).

PARMENIDE DI ELEA


Nel poema intitolato “Sulla Natura”, Parmenide di Elea (520-440 a.c. circa) racconta di essere stato trasportato, su un carro trainato da due focose cavalle, al cospetto della “ben rotonda verità”, che gli ha rivelato l’esistenza di due ‘diversi’ quanto ‘opposti’ sentieri: il sentiero della Verità (epistéme), che conduce a conoscere ciò che (razionalmente) ‘è’, ed il sentiero dell’opinione (dòxa), che si limita invece a mostrare soltanto ciò che (sensibilmente) ‘appare’.

Diversamente dal secondo, il primo dei due sentieri insegna all’uomo:
a) che solo l’Essere “è” (razionalmente), e può quindi venir pensato è detto (dialettica);
b) mentre il non-essere “non è” (sensibilmente) e non può, pertanto, essere assunto a oggetto né di pensiero né di discorso alcuno.



A cominciamento di quella grande tradizione 'metafisica' che tanta parte avrà nel pensiero occidentale, in Parmenide l’Essere appare insomma per la prima volta ‘dedotto’ (razionalmente) - come ‘Ente’ - dall’inesistenza (sensibile) del non-essere. Per semplice esclusione del non-essere, l’Essere di cui dice il filosofo viene infatti a offrirsi come:

  • unico (fra più esseri si dovrebbero, altrimenti, supporre ‘altrettanti’ non-esseri);
  • immutabile (se mutasse, non potrebbe mutare in altro che in ‘non-essere’);
  • immobile (che, se si muovesse, non potrebbe muoversi che in un ‘non-essere’);
  • ingenerato (se fosse nato, non sarebbe nato che da un ‘non-essere’);
  • imperituro (che, se morisse, non potrebbe morire che in un ‘non-essere’). 

I “PLURALISTI” (ELEMENTI E COMPOSTI)


Contemporanei di Socrate e dei sofisti (Atene del V secolo a. c.), i ‘pluralisti’ aspirarono a conciliare l’immutabilità dell’Essere parmenideo con la mutevolezza dell’Essere eracliteo.

Non potendo accettare che il tutto possa nascere ‘dal nulla’ (come, pure, si pretendeva di dover logicamente concludere dalle argomentazioni avanzate da Zenone e Melisso riguardo la divisibilità ‘all’infinito’ dell’essere), e volendo al contempo preservare la dignità delle indagini naturalistiche (inaugurate dalle intuizioni degli ionici e dei pitagorici), essi propongono di distinguere fra:
a) elementi costitutivi (e, quindi, ‘immutabili’) dell’Essere
b) composti derivanti dall’unione/separazione (cioè ‘in divenire’) di tali elementi …

… secondo un’interpretazione che, per diversi aspetti, anticipa il ben noto principio secondo cui, in natura, nulla si crea e nulla si distrugge ma “tutto si trasforma”.



EMPEDOCLE

Per Empedocle di Agrigento (480-425 a.c. circa) l’unione/separazione degli elementi - riconducibili alle “quattro  radici” (aria, acqua, terra e fuoco) - è dovuta ad una contrapposizione ‘cosmica’ fra le due opposte forze dell’Amore e dell’Odio destinata a ripetersi, ‘ciclicamente’, in eterno.

Laddove:
  • quando prevale l'Amore (Philìa), gli elementi tendono ad unirsi in quella forma perfettamente 'auto-sufficiente’, o perfettamente armonica, che è lo ‘Sfero’;
  • quando prevale l’Odio (Nèikos), gli elementi tendono a separarsi gli uni dagli altri verso quelle che sono le ‘quattro parti’ del cosmo (età ‘del càos’).

ANASSAGORA

Per Anassagora di Clazomene (496-428 a.c. circa) l’unirsi e il separarsi continuo di elementi pre-esistenti - che il filosofo chiama però ‘spèrmata’ (= ‘semi’), per cui “il simile nasce dal simile” - è invece da imputarsi a una intelligenza 'superiore' che:

  • pur offrendosi nei termini di una “mente ordinatrice” ('Nòus') che pone definitivamente fine alle ‘narrazioni’ di carattere mitologico (proprie dell’età arcaica);
  • non può però essere identificata né con lo spirituale (Dio) è con il materiale (natura), perché gli opposti concetti di ‘materia’ e di ‘spirito’ sono di fatto estranei alla sensibilità ellenica.

DEMOCRITO

In termini ancora più radicali, Democrito di Abdera (460-370 a.c. circa):
a) rifiuta di ammettere la divisibilità all’infinito dell’Essere (che, lo ricordiamo, comporterebbe il dissolvimento dell’Essere stesso nel non-essere e, quindi, l’idea di per se contraddittoria che l’Essere possa nascere dal non-essere);
b) imputa l’unione/separazione … il “divenire” d’ogni cosa, a‘particelle’ (corporee) che si muovono e si combinano in un ‘vuoto’ (incorporeo) al di là di ogni ‘ragione’ causale o finale che non sia il ‘movimento’ stesso (il principio di ogni mutamento è ‘interno’ alla natura stessa).




Diversamente dai ‘semi’ di Anassagora, le particelle di Democrito sono infatti:
  • qualitativamente diverse non per colore, odore e sapore ma per 'peso' e 'forma';
  • quantitativamente non ‘divisibili’ ma ‘in-divisibili’ all’infinito (‘a-tomos’) …
… e – dal momento che, “in assenza” di ogni possibile progetto, “tutti” i prodotti sono possibili – occorre accettare l’idea che possano esistere “infiniti” mondi possibili.



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