1° SCOLASTICA
CARATTERI E PERIODIZZAZIONE.
La filosofia del periodo medioevale prende il nome di 'scolastica' perchè - all'interno degli scriptoria di cui erano dotate le scholae palatine – sia i 'magistri' che i 'discipuli':
a) non si spingono a ‘formulare’ dottrine completamente nuove,
come appunto accadrà allorchè si rivendicherà una maggiore 'autonomia'
d'indagine della ragione dinanzi agli 'oggetti' della fede (divorzio fra
scientia umana e sapientia divina);
b) ma si limitano invece a prendere in considerazione, ‘analizzare' e commentare
tutte quelle dottrine che erano già state formulate dalla precedente tradizione
patristica (la filosofia è intesa come una semplice ‘ancella’ della teologia).
Si è soliti distinguere, all’interno del percorso evolutivo
seguito dalla filosofia medioevale, fra quattro diverse fasi o periodi di sviluppo;
e cioè:
- Pre-scolastica (VIII-X sec. - Imperi
carolingio, bizantino e islamico) periodo in cui, la possibilità di
‘razionalizzare’ i contenuti della fede, viene riconosciuta senza contrasti;
- 1° scolastica (XI-XII sec. - lotte
'per le investiture’ fra Impero e Papato) periodo in cui, tale
possibilità, inizia ad esser messa
in discussione (problematica degli ‘universalia’)
- 2° scolastica (XIII sec. - le nuove
'universitates' cittadine subentrano ai tradizionali 'scriptoria'
monastici) periodo in cui, tale discussione, approda ai grandi ‘sistemi’ dottrinali;
- 3° scolastica (XIV-XV sec. - tramonto degli Istituti universalistici e ascesa delle monarchie nazionali) periodo in cui, il tentativo di ‘elevare’ la Teologia a scienza, fallisce definitivamente.
ANSELMO D’AOSTA E GAUNILONE DI TOURS
Nel “Monologion”, Anselmo d’Aosta (1033-1109) sostiene che, chi
afferma/nega l'esse 'in re' (l’esistenza
‘reale’) di Dio – chi cioè formula un qualsiasi enunciato di
verità circa la 'natura'
di Dio e le sue 'determinazioni' (come fa, appunto, l’insipiente del Salmo
XIII) – deve necessariamente 'possederne'
l'esse 'in intellectu'
(l’essenza
concettuale): perchè è di per se contraddittorio affermare/negare ‘la realtà’
di un qualcosa che neppure ‘si pensa’.
A tale tesi, un oscuro monaco di campagna, Gaunilone di Tours
(1028-1083) obietta che, se così fosse, allora il solo 'concepire' nell’intelletto
la leggendaria isola dei beati - o isola perfettissima (isola, questa, che il
mito era solito identificare con una condizione di felicità ottimale, perché
talmente fertile da fornire cibo senza che gli uomini abbiano bisogno di
lavorarla) - implicherebbe necessariamente ch’essa debba ‘esistere’ anche nella
realtà.
Nel “Proslogion”, Anselmo d’Aosta ribatte a tale obiezione
precisando che, il ‘concetto’ di Dio, non può in alcun modo venir inteso ‘alla
stessa stregua’ di un qualsivoglia altro concetto: e questo perchè –
come “ciò di cui nulla di maggiore può venir pensato” (“id quo nihil majus cogitari posset”) – soltanto ad esso spetta
un’esistenza ‘reale’ non
meno che
‘concettuale’ (che, altrimenti, esso non sarebbe Dio)
Di fatto, con la sua risposta Anselmo non fa che ‘aggirare’ la
questione perchè, con la sua obiezione, Gaunilone aveva soltanto voluto dire
che:
a) se da un lato è vero che – come ‘concetto’ –
Dio non può non venir
‘pensato’ come esistente ‘in intellectu’ e, insieme, ‘in re’;
b) è però d’altro lato altrettanto vero che –
come ‘realtà’ – esso può anche non venir ‘percepito’ (e, quindi, 'esperito’)
come tale.
LA QUESTIONE DEGLI “UNIVERSALI”.
Nei secoli XI-XII i filosofi tornano a chiedersi se i ‘concetti’
(all’epoca chiamati ‘universalia’) siano da intendersi come ‘esistenti’:
a) ante
rem: i concetti esistono nella
mente di Dio … suscettibili di venire soltanto ‘intuiti’
- per via intellettiva - al pari
delle idee platoniche (Idealismo);
b) in
re: i concetti esistono nel
mondo naturale … suscettibili di venire anche ‘esperiti’ - per via sensibile - al pari delle forme
aristoteliche (Realismo);
c) post
rem: i concetti esistono nella
mente umana … come puri segni linguistici ‘adottati’ - in via puramente
'funzionale' – dall’insieme dei parlanti (Nominalismo).
Lungi dal rappresentare una mera disputa fra dotti, la
“questione degli Universali” rappresenta un deciso passo in avanti nel processo di 'liberazione' della ragione umana
dall’ambito delle questioni teologiche (e di 'asservimento' della ragione
stessa all’ambito delle questioni naturali) … in quanto questione che, ponendo
le basi per una ben netta distinzione fra:
a) soggetto
‘ontologico’ di proprietà (essere come esistenza 'reale');
b) soggetto
‘logico’ di predicati (essere come essenza
'concettuale') ...
... pone con ciò stesso la ragione umana in condizione di giudicare, soppesare e valutare le
'verità' espresse dalle
Sacre scritture (e, con esse, gli 'ordini' economici, socio-politici e
culturali che, di tali verità, pretendevano d’essere il riflesso specularmente
fedele).
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