ARISTOTELE
I GRECI E IL MONDO (VITA E OPERE).
384-347: nato a Stagira, rimane presto orfano di entrambe i genitori
e decide di frequentare la scuola ateniese di
Platone, da cui si allontanerà dopo circa vent’anni per la morte
del maestro;
367-335: Nominato precettore del giovane
Alessandro di Macedonia, futuro ‘conquistatore’ d’oriente, gli
trasmette la convinzione circa la ‘superiorità’
dei greci su tutti gli altri popoli, e la credenza di poter giungere con le
sue sole forze fino ai ‘confini’
del mondo;
335-322: tornato ad Atene, vi fonda una propria scuola, il Liceo (poi denominata
Scuola peripatetica), ma dovrà allontanarsene per l’ascesa del partito
antimacedone guidato da Demostene.
DALLA ‘CONTEMPLAZIONE’ ALL’OSSERVAZIONE.
In Platone avevamo l’esaltazione di una conoscenza che:
- attraverso una comunicatività di tipo
‘aperto’ (dialogico) ...
- … ponente capo ad un sapere verticale, ovvero ‘gerarchicamente’ organizzato (ci sono saperi ‘superiori’ e saperi 'inferiori') …
- … si spinge fino a ‘prescrivere’ le condizioni stesse della convivenza civile.

Negli anni di Platone e Aristotele (384 – 322 a.c.) si verifica
però l’inglobamento delle città greche nell’Impero macedone: e - non
più chiamati a partecipare direttamente alle decisioni assembleari delle loro
città – i greci prendono a disinteressarsi alle questioni di
carattere politico (d’interesse collettivo) per interessarsi invece a
problematiche di natura etica (d’interesse individuale).
Con Aristotele abbiamo quindi la valorizzazione di una conoscenza che:
- attraverso una comunicatività di tipo
‘chiuso’ (definitorio) ...
- … ponente
capo ad un sapere orizzontale, cioè ‘enciclopedicamente’ organizzato (che
siano volti al ‘pensare’ o al ‘fare’, i saperi hanno tutti eguale dignità)
…
- … si limita a
‘descrivere’ le
condizioni economiche, sociali e giuridiche delle varie comunità.
GLI SCRITTI (L'ENCICLOPEDISMO).
Gli scritti aristotelici vengono per tradizione suddivisi in:
Gli scritti aristotelici vengono per tradizione suddivisi in:
- CIRCA IL “DIVINO” - scritti di metafisica (una serie di 14 Libri composti in epoche diverse, qua e là eterogenei fra loro, di cui particolarmente importanti i Libri VII-IX, con la distinzione fra Sostanza e accidenti, ed il Libro XII, con la teoria del Motore immobile);
- CIRCA IL “NATURALE” - scritti di fisica (‘Il cielo’), biologia (‘Storia degli animali’, ‘Le parti degli animali’, e ‘Il movimento degli animali’) e psicologia (‘L’anima’);
- CIRCA IL “PENSIERO” - scritti di logica (noti complessivamente con il nome di ‘Organon’, tra cui ‘Categorie’, ‘Analitici primi’ ed ‘Analitici secondi’, e ‘L’interpretazione’);
- CIRCA L' “AZIONE” - scritti di
etica (fra cui ‘L’etica nicomachea’), politica
(‘La politica’, appunto) e retorica (‘La poetica’,
di cui ci sono pervenute soltanto le parti riguardanti il genere tragico,
mentre sono andate perdute quelle attinenti la commedia e il genere
comico).
Metafisica
METAFISICA, ONTOLOGIA E LOGICA.
Per Aristotele, dell’Essere “in quanto essere”, ovvero dell’Essere considerato ‘a prescindere’ da ogni sua possibile 'determinazione' - a prescindere, cioè, dalle qualità (colore, odore, e sapore) con cui ‘appare’ ai sensi, dal movimento (studiato dalla fisica) o, anche, dalle quantità con cui ‘si mostra’ all’intelletto (studiata dalla matematica) – si può dire “in tanti modi”.
A seconda del piano su cui lo si consideri - pensiero, realtà o linguaggio - l’Essere può infatti venire indagato:
- ora come Essere, o
ente, ‘pensabile’
(l’Essere come oggetto di riflessione Metafisica)
- ora, invece, come oggetto
‘reale’ (l’Essere
come oggetto di riflessione Ontologica)
- ora, infine, come proposizione
‘dicibile’
(l’Essere come oggetto di riflessione Logica).
L'ESSERE COME “SINOLO” (IL NECESSARIO E IL POSSIBILE).
L’Essere viene sempre ad offrirsi come ‘sinolo’ (= unione ‘inscindibile’) di:
E' infatti solo 'in astratto' che si può discettare dei termini di un sinolo considerati indipendentemente gli uni dagli altri … perchè - 'nel concreto' – il termine stesso di 'sinolo' denota il fatto che:
L’Essere viene sempre ad offrirsi come ‘sinolo’ (= unione ‘inscindibile’) di:
- ‘sostanza’ e ‘accidenti’ (come Essere ‘pensabile’);
- ‘materia’ e ‘forma’ (come ente reale, o ‘esistente’);
- ‘soggetto’ e ‘predicati’ (come proposizione, giudizio o enunciato ‘dicibile’).
E' infatti solo 'in astratto' che si può discettare dei termini di un sinolo considerati indipendentemente gli uni dagli altri … perchè - 'nel concreto' – il termine stesso di 'sinolo' denota il fatto che:
a) non ‘è pensabile’ una sostanza ‘senza’
accidenti;
b) non ‘esiste’
materia ‘senza’ forma;
c) non ‘si dice’ di un soggetto ‘senza’
predicati.
Laddove:
- mentre sostanza,
materia e soggetto rappresentano - sui tre diversi piani del
pensiero, della realtà e del linguaggio - il supporto ‘necessario’ di accidenti, forma
e predicati (una qualità,
come un’azione,
è sempre qualità o azione ‘di
qualcosa’, o 'di qualcuno');
- accidenti, forma e predicati rappresentano invece – sempre considerati sui piani succitati – le determinazioni ‘possibili’ di sostanza, materia e soggetto (il qualcosa o il qualcuno, di cui si è detto, possono mostrare di possedere o meno una determinata qualità).
IL DIVENIRE “METAFISICO” (o 'PENSATO'): LA POTENZA
E L'ATTO.
Diversamente dai filosofi precedenti, Aristotele afferma che il ‘divenire’ delle cose risulta in qualche maniera ‘pensabile’ (e, quindi, ‘comunicabile’) a condizione che lo si intenda:
a) non come passaggio di un qualcosa dal non-essere all’essere, o
viceversa (niente può infatti ‘dal’ nulla sorgere, così come niente può ‘nel’
nulla tramontare);
b) ma come passaggio di un qualcosa dalla “privazione” di una
determinata forma ‘X’ al “possesso”
della stessa forma ‘X’.
A tal riguardo, il filosofo elabora i due nuovi concetti di ‘potenza’ e di ‘atto’, che risultano fra loro tanto complementari quanto relativi, perché:
- se la condizione dell’essere ‘in potenza’
rappresenta la condizione in cui riversa un dato ente allorché - fornito
di una (presente) forma X – appare al contempo ‘privo’ di una (futura) forma Y;
- la condizione dell’essere ‘in atto’ denota
invece la condizione in cui un dato ente riversa allorché - privo di una
(futura) forma Y - appare al contempo ‘fornito’ di una (presente) forma X.
Così, ad esempio, un pulcino:
Per Aristotele esistono quattro diverse ‘cause’ dell’Essere. In riferimento ad una statua, ad esempio, è infatti possibile distinguere fra:
… laddove:
a) prima di crescere 'è' (in atto) soltanto un pulcino, ma - ‘in potenza’ - una gallina;
b) dopo esser cresciuto 'è' invece - 'in atto' - una gallina
ma (in potenza) un pollo arrosto …
… e così via, di seguito, all’infinito.
IL DIVENIRE “FISICO” (o 'REALE'): LE QUATTRO “CAUSE”
DELL’ESSERE.
Per Aristotele esistono quattro diverse ‘cause’ dell’Essere. In riferimento ad una statua, ad esempio, è infatti possibile distinguere fra:
- causa materiale (il ‘marmo’ cui lo scultore ricorre per realizzare la sua
statua);
- causa formale (il ‘progetto’ che lo
scultore trasferisce dalla sua mente al marmo);
- causa efficiente (lo
‘scalpello’, con cui l’artista dà progressivamente forma alla materia,
plasmando il marmo a sua disposizione);
- causa finale (il ‘compenso’ in denaro, o anche la ‘fama’, che lo scultore persegue abbellendo, con la sua opera, un luogo pubblico o privato) …
… laddove:
a) mentre causa ‘materiale’ e causa ‘formale’ sono cause
necessarie a che - nello spazio – l'Essere si
mostri come ‘fornito’
di
determinate proprietà (Essere ‘staticamente’ inteso);
b) causa ‘efficiente’ e causa ‘finale’ sono invece cause
necessarie a che – nel tempo - l’Essere divenga o 'passi' dalla
'privazione' al 'possesso' di determinate proprietà (Essere
‘dinamicamente’ inteso).
Logica
LO “STRUMENTO” (‘ORGANON’) DEL “CONOSCERE”.
Gli scritti aristotelici di logica prendono il nome complessivo di “Organon” (= “strumento”) perché hanno, come oggetto d’indagine, quel procedimento discorsivo per mezzo del quale - partendo da determinate ‘premesse’ - la ragione umana perviene a dedurre 'conclusioni' altrettanto determinate.
La logica aristotelica vuole insomma indagare il modo in cui, le
diverse scienze, giungono alle loro proprie o specifiche verità … : “smontando”, per così dire,
quegli ‘enunciati' – composti di termini, giudizi e 'deduzioni' – per
mezzo dei quali tali scienze giungono ad “asserire”:
a) non come (soggettivamente) ‘si
avrebbe potuto’ e/o ‘si vorrebbe’ che le cose siano (enunciati 'prescrittivi',
volti a 'direzionare' l'agire umano, quali sono quelli esprimenti ‘comandi’
o ‘desideri’ come ad es. “chiudi la porta !” o, anche, “speriamo che piova … ”);
b) ma come di fatto
(oggettivamente) le cose 'sono' in
sé (enunciati 'descrittivi', finalizzati a 'denotare'
le entità naturali, quali sono quelli sostanzianti di se i saperi della
fisica o della biologia, come ad es. “il piombo è un metallo”, o anche “le
balene sono mammiferi”).
I “TERMINI” (COME ‘SOGGETTO’ E COME ‘PREDICATO’).
Gli elementi di strutturazione primarii (i ‘mattoncini’ di base, per così dire) di questo procedimento discorsivo sono dati da quei ‘termini’ cui il pensiero ricorre per denotare:
1) ora ciò ‘di cui’ si dice (il soggetto)
2) ora ciò che ‘se ne’ dice’ (il predicato)
Così, ad esempio, nell’enunciato assertivo “la gallina ha le ali”:
a) il termine ‘gallina’ stà a denotare ciò di cui dice
(il ‘soggetto’ della proposizione)
b) il termine ‘ali’ denota ciò che, a riguardo, se ne dice
(il ‘predicato’ della proposizione) …
… laddove è' bene notare come, in tal senso, enunciati assertivi (asserzioni relative, cioè, alla ‘natura’ di un qualcosa) possano essere considerati anche frasi del tipo: “La Giustizia è perseguibile da tutti” (politica), “L’ellisse è una figura geometrica” (matematica), o “L’uomo è un essere razionale” (etica).
I “GIUDIZI” (UNIVERSALI, PARTICOLARI, AFFERMATIVI E NEGATIVI).
Presi ‘singolarmente’, i termini non danno luogo ad alcun enunciato di verità (non danno cioè luogo ad alcun giudizio) … : ma, semplicemente, indicano quelle determinazioni “più generali” - quali sostanza, qualità o quantità, relazione (spaziale o temporale) etc. - che, ogni ente, mostra di non poter fare a meno possedere (determinazioni, queste, che il filosofo riconduce ad un numero limitato di “categorie”).
- Dire soltanto “uomo”, oppure “qui”, o
anche “ora”, o “razionale”, “bipede”, “buono”, “inutile” etc., non assume
altro significato all’infuori di una semplice ‘denotazione’
(di un soggetto, di una qualità, di una quantità, di un
momento, di un luogo, etc.).
Messi ‘in relazione’ fra loro, mediante la
presenza intermedia di un verbo (come
“è” o “non è”, “ha” o “non ha”, etc.), tali termini danno invece luogo ad un enunciato
‘di verità’ che il filosofo chiama “giudizio” … : perché è proprio
mediante la particella verbale che, la ragione umana, attribuisce o misconosce il possesso, da parte di un determinato
ente, di una qualche 'proprietà'.
- Affermare che “l’uomo è’ un bipede” equivale ad esprimere un ‘giudizio’ di verità, perchè - nel riconoscere la proprietà del ‘bipedismo’ al soggetto ‘uomo' - la ragione umana non fa altro che ‘predicare’ un qualcosa riguardo un qualcuno.
Di qui la distinzione fra giudizi ‘universali’ o ‘particolari’ (a seconda che
universale o particolare sia ciò “di cui” si dice), e ‘affermativi’ o
‘negativi’ (a seconda che il verbo attribuisca o meno, ad esso, ciò che “se ne”
dice). Così, ad esempio:
a) “Tutti gli uomini sono bianchi” è un giudizio ‘universale’
(Tutti) ‘affermativo’ (sono);
b) “Tutti gli alberi non sono sempreverdi” è un giudizio
‘universale’ (Nessun) ‘negativo’ (non sono);
c) “”I greci sono europei” è un giudizio ‘particolare’ (I greci)
‘affermativo’ (sono);
d) “I greci non sono ricchi” è un giudizio ‘particolare’ (I
greci) ‘negativo’ (non sono).
I “SILLOGISMI” (SOLA ‘COERENZA’ DELLE DEDUZIONI).
Il terzo e ultimo livello di analisi della logica si ha allorchè si passa:
- dal mettere in relazione due termini
(assunti in funzione, rispettivamente, di ‘soggetto’ e di ‘predicato’) per
“formulare”
un giudizio (cioè un’enunciato di verità);
- al mettere ‘in relazione’ due giudizi (definiti convenzionalmente, premessa ‘maggiore’ e premessa ‘minore’) per ‘dedurne’una conclusione (sillogismo).
Soprattutto è’ importante notare come:
a) è possibile porre in relazione due giudizi solo grazie a un ‘termine’ che, ‘comune’ ad ambedue le
premesse, funge da ‘soggetto’ (nella
premessa maggiore) e da ‘predicato’ (nella premessa minore);
- Così, ad esempio, si possono relazionare i due giudizi
“I greci sono europei” (premessa maggiore) e “Socrate è greco” (premessa
minore) grazie al termine comune “greco”, che funge da soggetto nella
premessa maggiore e da predicato in quella minore.
b) nella ‘conclusione’,
questo termine 'comune' 'sparisce' del tutto, per lasciare
il posto ai soli termini 'estremi' delle due premesse.
- Nell'esempio appena riportato, il termine comune ‘greco’ scompare dalla conclusione perché, chiamato a fungere da ‘specie’ (o classe inclusa) nella premessa maggiore, esso si trova al contempo a fungere da ‘genere’ (o classe includente) nella premessa minore.
I PRINCIPI "PRIMI" E I “TIPI” DI SILLOGISMO.
La tradizione antica e medievale precisa che il termine comune, o
termine
‘medio’, può in realtà fungere da soggetto o da predicato in ambedue le
premesse (3° e 2° figura), oppure da soggetto nella premessa maggiore e da
predicato nella premessa minore (1° figura), o anche da predicato nella premessa
maggiore e da soggetto nella premessa minore (4° figura) ... ma a noi interessa
rilevare soprattutto due aspetti.
Il primo è che, l’inclusione (o meno) di determinati elementi
in una determinata classe, appare strettamente correlata all’osservanza di tre principi ‘primi’ (principi ‘intuitivi’, cioè non-bisognosi di dimostrazione, in quanto essi
stessi ‘pre-condizione’ di ogni possibile dimostrazione),
ovvero:
- di ‘non-contraddizione’ = non è possibile che piova e – al contempo – non piova (A ≠ B);
- di ‘identità’ = il piovere, come evento, è “il piovere”, come frase (A = A);
- del ‘terzo escluso’ = o piove oppure – in un medesimo istante - non piove (X = A oppure = B).
- Corretta = il termine medio funge da classe inclusa in almeno una delle due premesse;
- Plausibile = il termine medio viene considerato come classe inclusa, in una delle premesse, non da tutti ma soltanto dai migliori (qualitativamente), o dalla maggioranza (quantitativa);
- Scorretta = il termine medio non funge da classe inclusa in nessuna delle due premesse.
Fisica, biologia e
psicologia
A) FISICA - IL COSMO, GLI 'ELEMENTI' E IL “MOVIMENTO.
Per Aristotele, l’universo non può essere che:
a) unico:
perchè, fra due o più mondi, dovrebbero altrimenti immaginarsi altrettanti ‘vuoti’
(il voto è per i greci concepibile sempre come
‘contenitore di’, e mai come ‘contenuto da’);
b) finito:
perchè, se fosse in-finito, risulterebbe in certo qualmodo non-finito, cioè ‘manchevole’
di un qualcosa (l’infinitezza è, per lo stagirita,
sinonimo d’imperfezione);
c) chiuso
dal ‘cielo delle stelle fisse’: perché i cinque ‘cieli’ (corrispondenti ai
cinque ‘corpi erranti’, fino ad allora noti), devono necessariamente avere un
qualche limite esterno.
In tale universo occorre distinguere fra:
- i quattro elementi empedoclei (terra, acqua, aria e fuoco) che sostanziano di sé il cielo sub-lunare, e che sono soggetti a quei movimenti dall’alto verso il basso o viceversa che – proprio perché ‘opposti’ fra loro - comportano generazione e corruzione.
- La ‘quinta-essenza’ (‘etere’) che sostanzia invece di
sé i cinque cieli super-lunari (corrispondenti ai cinque pianeti
conosciuti), e che appare soggetta a quell’unico movimento sferico-circolare che
– privo di movimenti ad esso opposti - non comporta né
generazione né corruzione.
B) BIOLOGIA - LA CORPOREITA’ ‘ORGANICA’ E LE TRE ‘ANIME’.
Simile agli altri esseri viventi - nell’offrirsi come insieme di parti ‘organiche’ deputate all’esecuzione di funzioni ‘diverse’ ma ‘correlate’ fra loro - l’uomo se ne differenzia nel presentare:
- oltre all’anima ‘vegetativa’ propria delle piante (che sovrintende all’espletamento dei compiti connessi alla propria ‘auto-conservazione’, ed alla ‘ri-produzione’ biologica);
- e all’anima ‘sensitiva’ propria degli animali (che sovrintende all’espletamento delle mansioni connesse alla ‘percezione’ sensibile del contesto, e al susseguente ‘movimento’, finalizzato ad ‘allontanarsi’ da ciò che provoca dolore, e ad ‘avvicinarsi’ a ciò che provoca piacere);
- anche un’anima 'razionale' (che sovrintende all’espletamento
di quell’ufficio, esclusivo degli appartenenti al genere umano, che
consiste nel ‘giudicare’
e nel ‘ragionare’).
C) PSICOLOGIA - I SENSI, L’IMMAGINAZIONE E L’INTELLETTO.
Per Aristotele:
- da senzienti 'in potenza',
i cinque sensi (vista, udito, tatto, olfatto e gusto) passano ad
essere senzienti 'in atto' soltanto “sentendo” i
loro rispettivi oggetti, quali oggetti già ‘sensibili in atto’ (colori,
suoni, durezza, odore e sapore);
- i sensi fanno capo ad un ‘sesto
senso’ (o “sentir di sentire”), predisposto
ad unificare - in un’unica, o sintetica
‘immagine’ - le molteplici determinazioni (che,
i cinque sensi, percepiscono invece separatamente);
- da intelletto intelligibile 'in potenza', anche l’intelletto passa infine ad essere intelligibile ‘in atto’ soltanto “intellegendo” i suoi oggetti come oggetti già ‘intellegibil in atto’ (le idee o forme, ovvero i 'concetti')...
...laddove, essendo le idee o forme (pensabili) “immanenti” alle
entità (esistenti) – piuttosto che ad essa “trascendenti” (come, appunto, in
Platone) - l'anima umana risulta:
a) immortale nella misura in cui, il passaggio dall'intelletto
in potenza (nous patetikos, che ogni concetto passivamente 'accoglie')
all'intelletto in atto (nous poietikos, che ogni concetto
attivamente 'produce'), può avvenire senza il
concorso dei sensi (che sono parte integrante del corpo);
a) mortale nella misura in cui – consistendo tale passaggio in
un 'prescindere' da ciò che le entità mostrano di avere di (materialmente)
'diverso', per 'intuire' ciò che esse mostrano invece di avere di (formalmente)
identico - il ricorso ai sensi risulta invece imprescindibile.
Etica e Politica
A) Etica - ‘Necessità’ del fine e ‘libertà’ dei mezzi.
Aristotele condivide la convinzione (comune a tutti i greci) secondo cui la ‘felicità’ consiste nel ‘piacere’ che si trae dall’espletamento della ‘funzione’ cui la ‘natura’ ha destinato (così, ad esempio, per un suonatore di flauto essa consisterà nel ‘saper suonare’ bene il suo strumento, per un artista nel ‘saper abbellire’ le sue opere; per un politico nel ‘saper governare’ la sua città, etc.).
Diversamente dai suoi illustri predecessori, Aristotele precisa
però che:
- se da un lato l’uomo non è affatto libera di scegliere il ‘fine’ per cui è venuto al mondo (vivere soddisfacendo la sola anima vegetativa, o sotto l’imperio dell'anima sensitiva, significa infatti vivere ‘senza’ quella razionalità che, sola, può permettere a oguno di continuare a ‘stare in’ società);
- d’altro lato egli è invece libera di gestire i ‘mezzi’ atti a raggiungere tale fine (forza fisica e bellezza esteriore, ricchezza economica e successo sociale, mostrano infatti spesso di poter 'agevolare’ ma, anche, ‘ostacolare’ la corretta direzione di una vita 'razionalmente' condotta).
B) Etica - Virtù ‘etiche’ e virtù ‘dianoetiche’
Le virtù ‘etiche’ - finalizzate allo star bene ‘fra gli altri’ (benessere) - si hanno allorchè la ragione:
a) mettendo a fuoco - con l'esperienza - il ‘giusto mezzo’ fra
due estremi (entrambe negativi);
b) aspira a ‘controllare’
gli impulsi derivanti dalle altre due ‘nature’ (vegetativa e sensitiva).
Tra queste troviamo:
1) Temperanza = giusto mezzo fra il dare troppo e il
dare poco (a se stessi);
2) Coraggio = giusto mezzo fra la temerarietà e la
viltà;
3) Liberalità = giusto mezzo fra il dare troppo e il
dare poco (agli altri);
4) Magnanimità = giusto mezzo fra la vanità e
l’umiltà;
5) Mansuetudine = giusto mezzo fra l’irascibilità e
l’indolenza.
Le virtù ‘dianoetiche’ – finalizzate allo star bene ‘con se stessi’ (Felicità) - si hanno invece allorchè la ragione:
a) asservendo ogni cosa alla
‘comprensione’ - e al ‘godimento’ - dell’Essere;
b) s’impegna a ‘perfezionare’ se stessa, in quanto natura
propria dell’uomo (anima razionale).
Esse sono:
1) Intelletto (Nous) come capacità di coglie i ‘principi primi’,
e indimostrabili, di tutte le scienze (intuito);
2) Scienza (Episteme) derivante dal ‘dedurre’ da tali principi e,
quindi, dal saper ‘dimostrare’ (raziocinio);
3) Sapienza (Sophìa) ovvero il saper individuare – distinguendo
ciò che è eterno da ciò che invece ‘muta’ - le contraddizioni insite in ogni
dimostrazione (autocritica);
4) Saggezza (Phrònesis), come abilità nel cogliere il ‘giusto
mezzo’ nelle azioni morali;
5) Arte (Technè) come capacità di produrre o progettare opere
adatte allo scopo per cui vengono pensate.
C) Politica - Socialità e felicità.
Occorre innanzitutto distinguere fra tre diversi – e successivi – gradi di socialità:
a) famiglia (allorchè, per soddisfare i propri bisogni
primari, uomo e donna si cercano a vicenda);
b) comunità (allorchè, più famiglie appartenenti a un
medesimo gruppo, si dividono ruoli e compensi);
c) Stato con le sue Istituzioni, le sue leggi e i suoi ordinamenti.
Al di fuori’ dello Stato nessuno (“che non sia una bestia, o un Dio”) può sperare, secondo Aristotele, di ‘diventare’ bastante a se stesso, cioè:
Al di fuori’ dello Stato nessuno (“che non sia una bestia, o un Dio”) può sperare, secondo Aristotele, di ‘diventare’ bastante a se stesso, cioè:
- ‘razionalmente’ autonomo rispetto a ogni altro individuo (capace di ‘riconoscere’ i problemi da affrontare, e a ‘formulare’ le soluzioni da adottare);
- ‘materialmente’ indipendente da ogni altro individuo (in condizione, come ‘animale sociale’, di perseguire in piena autonomia la propria ‘realizzazione').
D) Politica - Forme di 'governo' e rispettive 'degenerazioni'.
Nella sua ‘Politica’, Aristotele:
- distingue fra tre diverse ‘forme' di governo, e cioè la monarchia (governo di uno solo), l’aristocrazia (governo dei ‘qualitativamente’ migliori) e un'alternanza ch'egli definisce 'politèia' (governo dei ‘quantitativamente’ maggioritari);
- precisa che - quando non permettano a
ogni cittadino di perseguire la ‘virtù’ che gli è ‘propria – queste forme di governo tendono a ‘degenerare’
rispettivamente in tirannide (il despota), oligarchia (i più ricchi) e democrazia (i meno abbienti);
- riconosce – quali condizioni
'ottimali' di uno Stato – alcune condizioni di
tipo generale come ad esempio il numero degli abitanti (che non
dev’essere né troppo alto né troppo basso), il luogo geografico (la
fertilità del territorio), etc.
E) Differenze tra Platone e Aristotele.
Ricorrendo a una metafora potremmo dire che, mentre Platone apre ‘la’ macchina statale per far vedere 'come' funziona – o, meglio, come dovrebbe funzionare - Aristotele mette a confronto ‘più’ macchine (le 'costituzioni' delle diverse pòleis greche) per scegliere il 'meglio'.
Rispetto a Platone sono inoltre da rammentarsi altre
due importanti differenze, e cioè:
- al governo dei più ‘sapienti’ (che costituisce una cerchia troppo ‘ristretta’
di persone), Aristotele preferisce il governo dei più ‘anziani’ … :
perché è soltanto a questi ultimi che, gli esseri umani, si mostrano
disposti a obbedire ‘senza amarezza’;
- alla ‘comunanza’ di beni e risorse, lo stagirita preferisce la proprietà ‘privata’ (come elemento di positiva ‘differenziazione’ interna) … : perché è soltanto per essa che, gli individui, mostrano d’interagire con una ‘reale motivazione’.
Nessun commento:
Posta un commento