domenica 18 settembre 2016

2° SCOLASTICA

IL PENSIERO ARABO: INNOVAZIONI E CONDANNE.

1 – L’irruzione degli arabi.

La riflessione islamica del periodo medioevale:
  • viene inaugurata da Al-Kindi, Al-Rahzi e Al-Fahrabi (VIII-IX sec.) con lo scopo (comune anche al pensiero filosofico d'ispirazione giudaica e cristiana) di conciliare l'assolutezza del Dio unico con l’Essere metafisico indagato in età classica;
  • si sviluppa grazie alla mediazione delle concezioni emanatiste (X-XI sec.) che– in modo alquanto equivoco – identificano l'Assoluto ora con l'Uno (trascendente) ora con la materia (immanente);
  • per poi concludersi con Ibn-Sina e Ibn-Rashid (XII-XIII sec.) che, con la formulazione di nuove ipotesi, comportano una ‘messa in discussione’ di dogmi fondamentali del credo cristiano (soprattutto, la ‘distinzione’ fra creante e creato, e la ‘immortalità’ dell’anima).
2 – Le nuove ipotesi: il Dio 'creatore' e il mondo 'creato'.

TENDENZA RELIGIOSA - La tesi di Dio come Essere che, nella sua unità e immutabilità, è 'trascendente' il mondo (nella molteplicità e mutevolezza delle sue manifestazioni) comporta che Dio abbia creato il mondo “una volta e per tutte”, e come un qualcosa di distinto e separato da se … : con un atto di volontà assolutamente libero che comporta il riconoscimento di una maggiore importanza del pensiero divino (che pensa o plasma) rispetto alla materia (che viene pensata o plasmata);

TENDENZA SCIENTIFICA - La tesi di Dio come Essere che, nella sua unità e immutabilità, è 'immanente' al mondo (nella molteplicità e mutevolezza delle sue manifestazioni) comporta invece che Dio crei il mondo “di volta in volta”, e come un qualcosa di coincidente con se … : con una connessione assolutamente necessaria tra i fatti dell'esperienza che comporta il riconoscimento di una eguale importanza del pensiero divino (che pensa o plasma) rispetto alla materia (che viene pensata o plasmata).

3 – Le nuove ipotesi: la mente 'raziocinante' e l'anima 'spirituale'.

L’intelletto intelligibile ‘in potenza’ è l’intelletto ‘umano’ che tutte le essenze ‘passivamente’ accoglie, come uno specchio ‘riflettente’ la luce (nous patetikos);

L’intelletto intelligibile ‘in atto’ è invece l’intelletto ‘divino’ che tutte le essenze ‘attivamente’ produce, come una fonte 'irradiante' la luce (nous poietikos) ...

... una distinzione, questa, dalla quale discende che l'anima umana risulta:
a) immortale nella misura in cui, l'intelletto intellegibile in potenza, passa’ ad essere intellegibile in atto (come intelletto 'acquisito');
b) mortale nella misura in cui, tale passaggio, non può esplicarsi a prescindere’ da sensi che, pure, sono parte integrante del corpo (di per se 'corruttibile').


4 – Le condanne della Chiesa.

1228-32: Roma impone di non commentare i nuovi testi ma - per arginare la fuga di allievi (che avevano iniziato ad ‘emigrare’ verso centri di studio più aperti e liberali) - le facoltà di Parigi e di Oxford rifiutano di obbedire alla prescrizione ecclesiastica.

Sulla scia della distinzione fra significato ‘letterale’ (teologico) e senso ‘allegorico’ (filosofico) dei testi, Sigieri di Brabante e Boezio di Dacia propongono di accettare la co-esistenza di verità fatte proprie ‘per fede’ e verità conseguite per mezzo della ‘ragione’, come verità egualmente valide – e solo in apparenza, e a volte, in contrasto fra loro - nei rispettivi ambiti (dottrina della cosiddetta ‘doppia verità’).

1275-78: Roma condanna definitivamente, come incompatibili con la fede cristiana, le due ipotesi dell’eternità del mondo e dell’unicità dell’intelletto, così come erano discusse da Sigieri di Brabante e Boezio di Dacia (oltre che dallo stesso Tommaso d’Aquino).

TOMMASO D’AQUINO


1 – Ragione e fede: “regula fidei” e “praeambula fidei”.

Anselmo era solito dire “credo ut intellegam” (= “credo per intendere”), volendo con questo affermare che è compito della fede indicare alla ragione il ‘cosa’ e il come’ credere; Abelardo era invece solito ripetere “intellego ut credam” (= “intendo per credere”), volendo con questo sostenere che non è in alcun modo possibile credere in ciò che neanche si comprende.

Per Tommaso d’Aquino, la ragione umana:
  • non può da sola comprendere né le verità divine, che si pongono ‘al di là’ della sua portata (in quanto ‘superiori’ alle categorie proprie della logica umana), né le verità naturali che, pur ponendosi alla sua portata, richiedono però di percorrere ‘vie dimostrative’ (che non sono affatto esenti dall’errare);
  • deve pertanto ricorrere alla fede intesa come ‘assenso’ alle verità rivelate di carattere non ‘intellettuale’ (o razionalmente ‘evidente’, del tipo 2 + 2 = 4) ma ‘volontario’, vale a dire fornito di quella stessa saldezza che è propria di tale evidenza (si crede in Dio non perchè 'si sa' Dio ma perchè 'si vuole' Dio).
Nel 'delineare' l’oggetto della conoscenza in tutte le sue possibili determinazioni – attraverso le ‘sacre’ scritture – la fede ha il compito di ‘indicare’, alla ragione umana, il ‘cosa’ e il ‘come’ credere (“Regula fidei” per cui, nel caso di eventuali contrasti tra fede e ragione, si deve in ogni caso supporre che ad errare sia quest'ultima).

‘Fondata’ com’è su principi di per se certissimi – quali sono i ‘principi’ della logica – la ragione è dal suo canto chiamata a ‘dimostrare’ quelle verità ‘fondamentali’ senza le quali, la fede stessa, vacillerebbe o verrebbe meno in ogni credente (“Praeambula fidei” tra cui, ad esempio, sono la stessa l'esistenza di Dio, e l’immortalità dell’anima).




2 – Ente, essenza ed esistenza ('definizione' e ‘analogia’).

Nel ricondurre tutte le possibili manifestazioni dell'essere al solo concetto di “Sostanza” come ‘causa sui’, Aristotele non aveva potuto promuovere nessuna distinzione fra l'essere di Dio (come 'creatore') e l'essere delle entità naturali (come 'creato') … : e questo perchè – sia Dio che il mondo – mostrano in realtà di offrirsi all'uomo come esistenti “in se” e concepentisi “per se”.

Alla luce della distinzione fra essenza (o esseità 'in potenza') ed esistenza (o esseità 'in atto'), Tommaso può invece introdurre tale distinzione affermando che:

  • mentre Dio possiede l’essere come ‘necessariamente’ non-creato, in quanto sinolosensibilmente’ – e, quindi, razionalmente - inscindibile di materia e forma (per definizione, Dio è ed ha l’Essere,  cioè “possiede” l’esistenza, per ‘se’ stesso);
  • l’entità naturale possiede invece l’essere come ‘possibilmente’ creato, in quanto sinolosensibilmente’ – e, quindi, razionalmente - scindibile di materia e forma (per analogia, l’entità naturale è ma non ha l’essere, cioè “'riceve” l’esistenza, da ciò che è 'altro' da se) ...
... laddove, mentre il post rem (razionalità umana) deriva dall’in re (entità naturali), l’in re deriva dall’ante-rem (Pensiero divino).

3 – Teologia: le “cinque vie”.

Per Tommaso, dimostrare la natura (e gli ‘attributi’) di Dio richiede di procedere:
a)    non dall’esse ‘in intellectu’ all’esse ‘in re’ (dal Creatore, come causa, al creato come effetto);
b)    ma dall’esse ‘in re’ all’esse ‘in intellectu’ (dal creato, come effetto, al Creatore come causa) …
… e questo perché – all’opposto dei pochi che sanno cosa davvero significhi esse 'in intellectu' (Dio come creatore) - ben tanti sono invece coloro che sanno cosa significhi esse 'in re' (la natura come creato).

Di qui le seguenti cinque ‘vie’ (o dimostrazioni):
  • Ex causa = ogni cosa mostra di avere una causa 'altra' da se, e si deve quindi accettare l’esistenza di una ‘causa prima’ che non ha altra causa all’infuori di se;
  • Ex fine = ogni cosa mostra di avere un fine 'altro' da se, e si deve quindi accettare l’esistenza di una ‘fine ultimo’ che non ha altro fine all’infuori di se;
  • Ex motu = ogni cosa mostra d’essere in movimento, e si deve quindi accettare l’esistenza di un ‘motore primo’ che non ha altro motore all’infuori di se;
  • Ex gradu = ogni cosa mostra di avere un grado di perfezione ‘diverso’ (una cosa è ‘più o meno’ buona, più o meno bella, etc.), e si deve quindi accettare l’esistenza di un grado di perfezione ‘massimo’ in relazione al quale, tale diversità, assume un senso;
  • Ex contingentia = ogni cosa mostra di essere ‘contingente’ (nessuna delle cose terrene, o transeunti, si è ‘voluta’ da se), e si quindi accettare l’esistenza di un Essere ‘assoluto’ che ha ‘in se’ stesso tale ‘ragione’ (ogni 'voluto' implica un 'volente').


4 - Etica: provvidenza divina e libertà umana.

Per Tommaso, la provvidenza divina non esclude ma, anzi, include la libertà umana. Infatti:

  • se è vero che non c'è merito se non ‘dopo’ la caduta nel peccato (per riconoscere e, quindi, scegliere consapevolmente fra Bene e male, occorre prima sperimentare in cosa si differenzino);
  • è anche vero che la ‘pre-determinazione’ del susseguirsi di determinati effetti a determinate cause (in termini necessari o possibili), non esclude ma, anzi, include che tale susseguirsi ‘si verifichi’.
Detto in altri termini - se Dio ha ‘pre-determinato’ dalla notte dei tempi che, alla somministrazione di un cibo avariato/buono, segua una condizione di malessere/benessere - ciò non comporta per l'uomo alcun obbligo o necessità di assumere l’uno piuttosto che l’altro (dinanzi al cibo avariato come dinanzi a quello buono, l’uomo continua cioè a mantenere integra, nel tempo, tutta la sua libertà di scelta).

Proprio perché provvisto di libero arbitrio, l’uomo può decidere di perseguire una felicità ‘terrena’ o ‘ultra-terrena’ a seconda che, la sua volontà, decida di lasciarsi determinare:
  • ora dai beni materiali (che, molteplici e mutevoli, "a fatica" vanno mantenute perchè a fatica si conquistano, nella loro irriducibile "contingenza");
  • ora da quell’unico Bene spirituale che è Dio (e che, unico e immutabile, permette all'uomo di sollevarsi "al di sopra" di ogni possibile contingenza).
A seconda della facoltà ch’egli decide di assecondare, l’anima di ogni individuo si riveste di una ‘predisposizione’ (‘habitus’) che prende il nome di ‘vizio’ (se volto al male) o di ‘virtù’ (se volta al bene), e che risulta:
  • ‘costante’ (è sempre ‘gradualmente’ che si cade nel peccato, ed è in modo altrettanto graduale che, sempre, ci si può redimere dal peccato stesso);
  • ‘reversibile’ (per quanto si possa esser caduti nel peccato, è sempre possibile redimersi, e per quanto si possa esser stati redenti, è sempre possibile ricadere nel peccato).
5 – Politica: il “carattere” delle leggi.

A mezza strada fra la concezione medioevale di Agostino (lo Stato è necessità voluta da Dio, per limitare il 'consumo' egoistico dei singoli) e la concezione moderna di Machiavelli (lo Stato è necessità imposta dagli uomini, per permettere agli uomini stessi di continuare a 'produrre'), Tommaso distingue innanzitutto fra ‘lex divina’, ‘lex naturalis’ e ‘lex humana’, precisando che:
  • ‘discendono’ le une dalle altre, secondo un diverso livello di perfezione;
  • non possono, come ‘frutto’ di una medesima 'razionalità', entrare in contrasto fra loro.
Immagine correlata

Superiori a tutte le altre sono le Leggi divine, in quanto uniche che permettono a ognuno di ‘sottrarsi’ al ‘fluttuare’ delle molteplici e mutevoli 'situazioni' contingenti.

Riflesso delle leggi divine, le leggi naturali - cui gli uomini sono soggetti al pari di ogni altro organismo vivente (piante e animali) – sono invece finalizzate a garantire il 'preservamento':
a) di ‘se’ stessi (la propria conservazione);
b) di chi ‘si ama’ (il maschio e la femmina, il focolare domestico, e i figli);
c) del ‘bene comune' (la 'comunitas').

Riflesso delle leggi naturali, le leggi umane sono infine finalizzate a garantire il preservamento del bene comune (l’equità sociale e, quindi, la Giustizia) …laddove:

  • se c’è accordo unanime fra i popoli allorché si tratta di 'descrivere' i reati da punire ... il ‘cosa’ è proibito fare (jus gentium = diritto 'consuetudinario', o non-scritto);
  • tale accordo viene meno allorchè si tratta di 'prescrivere' le pene da comminare ... il ‘come’ sanzionare le eventuali violazioni (jus civile = diritto 'positivo', o scritto).

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