sabato 29 ottobre 2016

JOHN RAWLS


1 – Contrattualismo e ‘neo-contrattualismo’.

Con il testo “Una teoria della giustizia” del 1971, John Rawls (1921-2002) ha avuto il merito di liberare il discorso etico sulla “poleis” dalle pesanti ipoteche avanzate – nel corso dei secoli XIX e XX – sia dall’utilitarismo (di matrice liberale) sia dal collettivismo (d’ispirazione socialista).

Nei termini di un vero e proprio “neo-contrattualismo”, egli esordisce infatti affermando che:
a) se da un lato è vero che a tutti conviene rinunciare – razionalmente - a parte dei propri diritti ‘individuali’ in cambio di un maggior beneficio ‘sociale’ (sussiste un “patto” all’origine di ogni forma di convivenza);
b) è però altrettanto vero che, questa rinuncia, non può più limitarsi a ‘spiegare’ origine e funzioni dello Stato ma deve, invece, mostrarsi a sua volta in grado di fondare’ – altrettanto razionalmente - una Società “bene ordinata”.

2 – Sull’isola deserta (“posizione originaria” come “velo d’ignoranza”).

La condizione in cui ognuno dovrebbe trovarsi per ‘comprendere’ e ‘praticare’ criteri di giustizia può venir paragonata a quella di chi – abbandonato improvvisamente su un’isola deserta – appare proprio per questo “costretto” a collaborare con ogni altro per l’interesse “comune”.

‘Privato’ di tutto (eccetto che della ‘libertà’ di pensiero e azione), ognuno risulterebbe infatti:
a - (POSIZIONE ORIGINARIA) assolutamente eguale ad ogni altro perché, come ogni altro, spogliato di ogni elemento - naturale o sociale che sia - di vantaggio o svantaggio;
b - (VELO D’IGNORANZA) assolutamente impossibilitato a ‘prevedere’, come ogni altro, in quali condizioni future – migliori o peggiori – potrebbe egli stesso venirsi a trovare.


3 – I due “principi di Giustizia” (libertà e differenza).

Nella condizione descritta, ognuno sarebbe egualmente impegnato:
a)      a evitare di lasciarsi sfruttare da ogni altro e, specularmente, di sfruttare ogni altro;
· PRINCIPIO DI LIBERTA’ - il diritto di tutti a beni imprescindibili (come la libertà di provvedere a se stessi) deve continuare a ‘restare’ inviolabile per ognuno;
b)      a far si che, ‘costi’ e ‘benefici’, continuino  a restare egualmente ‘distribuiti’ fra tutti.
· PRINCIPIO DI DIFFERENZA - un qualsiasi svantaggio per uno solo dev’essere accettato alla sola condizione che si risolva in un maggiore vantaggio per tutti.
HERBERT MARCUSE


1 – “Eros e civiltà”: principio 'di piacere' e principio ‘di realtà’

In “Eros e civiltà” (1955), Herbert Marcuse afferma:
  • (in accordo con Freud) che la “emersione” del Super-Io – traducentesi in una dolorosa  'separazione/opposizione' fra Es (principio 'di piacere') ed Io (principio 'di realtà) – è finalizzata a un adattamento dell’individuo al contesto (in cui vive e convive);
  • (in disaccordo con Freud) che – come “introiezione” di norme e regole indicanti luoghi, tempi e modi di produzione e consumo dei beni – questa separazione/opposizione appare più funzionale al contesto storico (il Sistema) che a quello naturale (l’individuo).
 Nelle antiche economie “di auto-sussistenza”, ancora (naturalmente)in possesso’ dei mezzi di produzione, l’uomo appariva infatti ancora libero di decidere sia 'cosa' produrre sia 'quanto' consumare … libero di “strutturar-si”:
  • ai fini di una diminuzione del tempo lavorativo (in cui produrre “da se”) e di un parallelo aumento dei tempi libero (in cui consumare “per se”). 
Nelle moderne economie “di compra-vendita”, oramai (storicamente) ‘privato’ dei mezzi di produzione, l’uomo appare invece necessitato a lasciar decidere sia 'cosa' produrre sia 'quanto' consumare … necessitato a “lasciarsi” strutturare:
  • ai fini di una produzione ‘in eccesso’ dei beni (da compra-vendere) e di una re-distribuzione ‘iniqua’ delle ricchezze (conseguenti).
… Laddove, alla progressiva ‘dis-erotizzazione’ dell’uomo (richiesta dalla necessità di procrastinare nel tempo il soddisfacimento del bisogno), l’esperienza estetica risponde preservando tutto il desiderio di libertà - e di creatività non-alienata – di cui da sempre è stata carica l’umanità (l’Arte come “ritorno del represso”).

2 – “L’uomo a una dimensione”: tolleranza ‘repressiva’ e persuasione ‘occulta’.

Ne “L'uomo a una dimensione” (1962), Marcuse descrive il Sistema come costantemente impegnato a ‘privare’ i singoli individui della stessa capacità di pensare o agire 'autonomamente'.

a) (TOLLERANZA REPRESSIVA) da un lato, il Sistema promuove il pensiero etero-nomo imponendo di render conto della ‘plausibilità’ dei propri enunciati di verità sulla base:
  • ora della 'coerenza' logica - o formale - fra segni e segni;
  • ora della 'corrispondenza' empirica - o materiale - fra segni ed entità.
b) (PERSUASIONE OCCULTA) d’altro lato, il Sistema provmuove l’azione etero-noma ricorrendo all’apparato mass-mediologico, ovvero ‘spacciando’ come indispensabile:
  • ora la produzione di ciò che - da tutti - è necessario ‘consumare’;
  • ora il consumo di ciò che – per tutti - è necessario ‘produrre’.
In tal senso, un rivolgimento radicale del Sistema può venir promosso:
a) non più dalla borghesia 'imprenditoriale' o dal proletariato 'collettivista' (oramai troppo 'coinvolti' nel ‘ciclo’ di produzione e consumo);
b) ma da tutti quei reietti che – quanto più vengono 'esclusi' dal gioco - tanto più sono interessati a ‘violare’ le regole del gioco medesimo …

… per mostrare come esso sia, di fatto, un gioco “truccato” (Gran Rifiuto). 
THEODOR W. ADORNO


1 – “Dialettica dell’illuminismo”: ragione ‘oggettiva’ e ragione ‘strumentale’.

Nella “Dialettica dell’illuminismo” (1947), Theodor W. Adorno condivide la convinzione secondo cui esistono due diversi tipi di ragione:
a)      una ragione “oggettiva” che, propria dei grandi sistemi filosofici (da Platone a Hegel), riconosce l’esistenza di una sostanza universale, la cui apprensione ha da sempre permesso ai singoli di formulare dei ‘criteri’ pei il proprio conoscere e il proprio agire;
b)      una ragione “strumentale” propria della civiltà scientifico-tecnologica (e del sistema capitalistico industriale) che, nata con l’intento di “liberare” ognuno dai condizionamenti naturali, ha finito per “asservire” ognuno alle esigenze di produzione e consumo del Sistema.

Fondata sulla non-contraddittorietà (puramente ‘formale’) della deduzione logica, il primo tipo di ragione permetteva a ognuno di estendere liberamente il proprio discorso:
  • dai soggetti 'ontologici' di proprietà (entità fisiche, chimiche e biologiche);
  • a soggetti 'logici' di predicazioni (norme etiche, regole sociali e leggi politiche).
Basata sulla sola esperienza di tutto ciò che (“materialmente”) rientra nell’orizzonte ristretto delle proprie esistenze, il secondo tipo di ragione non permette invece a nessuno di predicare alcunché:
  • né circa ciò chè è“vero” (nessuno può dire di 'conoscere' le ‘cause prime’, nella misura in cui nessuno può ‘osservare’ la totalità degli effetti possibili);
  • né circa ciò che è “giusto” (nessuno può dire di 'perseguire' il ‘fine ultimo’, nella misura in cui nessuno può ‘misurare’ la totalità dei mezzi disponibili).

2 – “Dialettica negativa”: dal pensiero della ‘totalità’ al pensiero della 'alterità'.

In “Dialettica negativa” (1966), Adorno propone di passare da un pensiero basato sulla 'identità' di Pensiero ed Essere (pensiero “della Totalità”, per il quale “il vero è nel Tutto”) ad un pensiero fondato sulla 'diversità' di Pensiero ed Essere (pensiero "della alterità”, per il quale “il Tutto è il non-vero”).

Diversamente dal primo, quest’ultimo non dimentica:

  • che, negli enunciati con un soggetto logico (di predicazioni) come in quelli con un soggetto ontologico (di proprietà), la copula “è” assume senso solo ‘nella’ e ‘per la’ relazione  - sempre individuale - fra colui 'che' predica (soggetto) e ciò 'di cui' si predica (oggetto);
  • che, ad essere storicamente ‘determinato’ (e, quindi, eternamente ‘in divenire’), è non solo il soggetto 'che' formula enunciati (circa verità, giustezza, o bontà di norme regole e leggi) ma anche il contesto familiare, sociale o politico ‘in cui’ esso si trova a enunciare (e operare).

giovedì 27 ottobre 2016

MAX WEBER

1 – Vita e opere (cenni).

1864-1906: nasce nella cittadina di Erfurt da famiglia agiata, socialmente e politicamente impegnata, che lo avvia verso studi alla cui conclusione scrive le sue opere metodologiche più importanti (“L’oggettività conoscitiva delle scienze sociali”, e “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”, entrambe del 1904);

1907-1915: si batte per un passaggio del potere economico e giuridico dall’aristocrazia terriera alla borghesia cittadina (con l’obiettivo di fare della Germania un paese rispettoso delle libertà civili al pari dell’Inghilterra e della Francia), e partecipa, come delegato della nuova Repubblica di Weimar, alle trattative di pace di Versailles; 

1916-1920: afflitto da problemi di salute, si allontana sempre più dalla vita attiva per dedicarsi alla stesura di altri scritti fondamentali, fra i quali sono da ricordare “La scienza come professione”, “La politica come professione” (entrambe del 1919) e quella vera e propria ‘summa’ del suo pensiero che è “Economia e società”.


 2 – Scienze fisico-naturali e 'scienze' storico-sociali.

Lo studioso di scienze fisico-naturali è possibilitato ad assumere, come ‘petitio principii’, l’uniformità e costanza – o immutabilità - delle leggi naturali … ed è quindi possibilitato:
a)      a osservare gli ‘effetti’ (percepiti ‘passivamente’ dai sensi);
b)      per decidere circa la maggiore o minore plausibilità di alcune ‘cause’ (chimiche, fisiche, biologiche etc.) rispetto ad altre cause.

Lo studioso di scienze storico-sociali è invece impossibilitato ad assumere, come ‘petitio principii’, l’uniformità e costanza – o immutabilità - delle leggi storiche  … ed è quindi necessitato:
a)      a soppesare i ‘mezzi’ (elaborati ‘attivamente’ dalla ragione);
b)      per valutare circa la maggiore o minore perseguibilità di alcuni ‘fini’ (economici, sociali, politici etc.) rispetto ad altri fini.

In termini metodologicamente scientifici, le scienze storico-sociali devono quindi:
a) evitare di privilegiare, quale fosse in qualche misura “necessitata”, questa o quella 'visione alternativa' delle strutture economiche (economia), delle relazioni interpersonali (società) e delle Istituzioni dotate di autorità (politica);
b) descrivere le mere circostanze materiali che – in questa o quella particolare epoca storica o luogo geografico, hanno permesso di ‘decidere’ per una visione alternativa piuttosto che per un’altra (Cristianesimo o ebraismo, feudalesimo o Illuminismo, Capitalismo o socialismo, etc.).

3 – Arbitrarietà e necessità dei tipi ideali per l'imputazione causale.

Le ‘prospettive’ teoriche (“tipi ideali”) alla luce delle quali, unicamente, lo storico riesce ad espletare le proprie descrizioni pratiche (“imputazioni causali”) sono:
a)      soggettivamente arbitrarie – nell'elaborare la prospettiva teorica da cui guardare i fatti, lo storico appare invariabilmente ‘condizionato’ dall’educazione (familiare) ricevuta, dalle relazioni (sociali) intrattenute, e dalle idealità (politiche, religiose e, ‘sensu latu’, culturali) condivise.
b)      ma, anche, metodologicamente necessarie – senza una prospettiva teorica da cui guardare i fatti, allo storico risulta del tutto impossibile’ sia ‘codificare’ le domande (da rivolgere alle testimonianze storiche) sia ‘decodificare’ le risposte (da dare per spiegarne la genesi e/o i caratteri) …

… laddove, paragonando gli ideal-tipi a degli 'occhiali', potrebbe dirsi che:

a) mentre il politico è (ideologicamente) impegnato a convincere che – attraverso i propri occhiali – un evento risulta più bello, giusto o utile, rispetto a come risulta attraverso altri occhiali;
  • un ‘medesimo’ evento storico come, ad esempio, l'assassinio di Giulio Cesare del 44 a.c., può essere ricondotto all'eroismo dei congiurati (da uno storico interessato a tramandare, in futuro, i valori del governo repubblicano) come, anche, alla loro vigliaccheria (da uno storico interessato a tramandare, invece, i valori del regime imperiale);
 b) lo storico è invece (scientificamente) interessato ad appurare ‘quanti’ e ‘quali’ eventi vengono – attraverso questo o quel tipo di occhiali – a 'disvelare' un significato per lo storico stesso.
  • lo ‘neutralità’ dello storico consiste nel soppesare la ‘potenza esplicativa’ della prospettiva teorica da lui adottata (un ‘tipo ideale’ può infatti considerarsi tanto più 'ermeneuticamente' valido quante più domande gli permette di rivolgere e quante più risposte gli permette di formulare circa le testimonianze prese in esame).
4        – Le critiche al Sistema: ‘disincanto del mondo’ e ‘gabbia d’acciaio’.

Per l’ultimo Weber, l’approccio empirico - proprio del sapere scientifico e tecnologico - ha finito per risolvere il processo (iniziale) di asservimento della natura all’uomo in un processo (finale) di asservimento dell’uomo al Sistema.

Avallare la convinzione secondo cui - razionalmente ‘conoscibili’ - sono da considerarsi solo quelle cause di cui risultino inter-soggettivamente 'osservabili’ gli effetti (espunzione dell’essere divino dalla sfera dell’immanenza, o “disincanto” del mondo) equivale all’avallare l’idea che, come soggetto di razionalità, l’uomo non possa proporsi che come soggetto di un ‘pensiero’ eteronomo.
· non appartenendo all’uomo né il ‘progetto’ iniziale né il ‘prodotto’ finale, ogni cosa finisce inevitabilmente per apparire, all’uomo stesso, come ‘frutto’ di una creatività ‘altra’ dalla propria.

Avallare la convinzione secondo cui - eticamente ‘perseguibili’ - sono da ritenersi solo quei fini per cui risultino intersoggettivamente ‘misurabili’ i mezzi (restrizione della libertà umana alla sfera dell’immanenza, o “gabbia” d’acciaio) equivale all’avallare l’idea che, come soggetto di libertà, l’uomo non possa proporsi che come soggetto di una ‘azione’ eteronoma.
· non appartenendo all’uomo neppure gli ‘strumenti’ di produzione, l’uomo stesso è come ridotto a ‘farli funzionare’ senza neppure sapere ‘come’, al pari della ‘rotellina’ di un ingranaggio che lo trascende. 

martedì 25 ottobre 2016

RELIGIONE E POLITICA

1 – Introduzione: gli anni del “totalitarismo”

Con espliciti riferimenti a Kierkegaard e Nietzsche, Heidegger e Gadamer, la teologia protestante degli anni fra il 1919 (“Epistola ai romani”) e il 1941 (“Nuovo Testamento e mitologia”) è tornata a interrogarsi circa:
a) la radicale 'irriducibilità' della trascendenza all'immanenza;
b) l’irrisolvibile 'tensione' che questa irriducibilità comporta fra le sfere del 'mondano e del divino.

Anche il pensiero politico germanico si è trovato a vivere, dagli anni fra il 1922 (“Teologia politica”) e il 1936 (“Dottrina del diritto puro”) un momento di particolare fervore, per effetto di una radicale messa in discussione dei 'presupposti' razionalisti del ‘giusnaturalismo’ di età moderna (stato di natura/di diritto, delega, ampliamento/limitazione di poteri e libertà, etc.).

2 - K. Barth e R. Bultmann: il “totalmente” altro e la “de-mitizzazione”.

-        Il “totalmente Altro” di Karl Barth (1886-1968)

Dio è il “totalmente altro”, ovvero una 'presenza':
  • non identificabile nè con l’intuibile colto nella sua unità/totalità formale (trascendenza) nè con l’esperibile inteso nella sua pluralità/infinità materiale (immanenza);
  • non esprimibile né in termini di soggetto 'logico' di predicazioni né in termini di soggetto 'ontologico' di proprietà (non “è” nell'altrui come nel proprio 'orizzonte' esperienziale).

Vivendo “nella fede”, il contatto costante con l’impensabile e l'inesprimibile per eccellenza:
a) comporta un altrettanto costante strutturarsi e ri-strutturarsi della coscienza (un continuo posizionarsi e ri-posizionarsi “nel” e “per” il mondo);

b) non ha altra causa o fine all'infuori del rivelare, a se stessi, la 'finitezza' di ogni possibile pensiero come la 'fallibilità' di ogni possibile azione.


-        La “de-mitizzazione” di Rudolf Bultmann (1884-1976)

Occore distinguere fra:
  • il Cristo “storico” – per sua natura 'inogettivabile' -  di cui si parla nei due Testamenti (con la loro lunga sequela 'simbolico-mitologica' di interventi miracolosi e visioni apocalittiche);
  • il Cristo “della fede” ('Kerygma' = Cristo ‘che parla’ nell'interiorità di ognuno, senza alcun bisogno di “ricostruirlo”, ovvero 'oggettivarlo', nella sua natura mondana e temporale) …

… laddove è soltanto grazie all'annunciarsi (nella coscienza) del secondo che – in termini assai vicini all’apertura dell’esser-ci heideggeriano - è  possibile comprendere il primo: e impegnarsi quindi per una 'riattivazione’ del vero significato dei Testi sacri, riconducendone l'intero apparato simbolico-mitologico al suo senso originario.


 3 – H. Kelsen & C. Schmitt: Costituzione “legale” e Istituzione “legittimante”

-        La Costituzione “legale” di Hans Kelsen (1881-1973)

Per Hans Kelsen è la Costituzione scritta a legittimare l’autorità da istituirsi.

In vista di una propria auto-giustificazione (razionale), il potere esercitato dallo Stato deve infatti potersi esplicare attraverso la disposizione di leggi che possono considerarsi “valide” se - e soltanto se -  non entrano formalmente in contrasto con altre leggi del medesimo “ordinamento”.


Proprio perché coincidente con un ordinamento giuridico positivo (con la pura ‘scienza’ del diritto), il problema dello Stato si rivela quindi sostanzialmente indifferente verso qualsiasi visione della Giustizia: che sia o meno favorevole ad un (ipotetico) “auto-governo” del popolo.

-        La Istituzione “legittimante” di Carl Schmitt (1888-1885)

In termini meno universalistici (e più “decisionisti”), Carl Schmitt esordisce affermando che è soltanto da una Autorità già istituita che, solo, ci si può attendere la legittimazione di una qualche costituzione da scriversi.

Nelle condizioni di “emergenza” (che sono logicamente anteriori rispetto a quelle di normalità), la Sovranità ha infatti modo di ottenere da subito obbedienza – alla Sua volontà - proprio “indicando” cosa siano ordine e sicurezza, e ‘quando’ essi risultino messi in pericolo.


All’esterno come all’interno, e per le più varie motivazioni, una società può infatti vivere una ‘separazione’ fra amico e nemico (che è cosa ben diversa da un ‘concorrente’ economico, o da un avversario culturale): così come si vive la separazione (morale) fra bene e male, o quelle – rispettivamente estetica ed economica – fra bello e brutto, e fra utile e dannoso.

3 – Sviluppi dell’antropologia: diffusionismo e funzionalismo

A cavallo fra ‘8 e ‘900 gli studi etnografici e antropologici si sono sviluppati fino al punto da elaborare una concezione molto più ampia del ‘concetto’ di cultura: come insieme di soluzioni (economiche, sociali e politiche ma, anche, scientifico-tecnologiche) elaborate dall’uomo – come singolo o appartenente a una comunità, a un gruppo, un insieme etc. - per far fronte alle esigenze impostegli dal ‘contesto’ (ambientale e umano) in cui si trova a vivere e con-vivere.

Per il britannico Edward B. Taylor (1832-1917), pur rispondendo a bisogni di tipo primario o anche secondario, queste soluzioni mostrano di seguire in ogni caso una medesima linea di sviluppo evolutivo, e possono pertanto venir ‘comparate’ fra loro (evoluzionismo euro-centrista).

Per Franz Boas (1858-1942) queste soluzioni sono invece state ebarorate in tempi e luoghi ben definiti, per poi “diffondersi” con tempi e modalità diversi nei contesti e nelle regioni limitrofe (dal neolitico in poi, l’agricoltura e la ceramica, il ferro, la scrittura etc.).

Per Bronislaw Malinowski (1884-1942) queste soluzioni possono infine essere indagate soltanto dal ‘punto di vista’ della struttura organizzativa in cui mostrano, appunto, di ‘funzionare’ (così il Totem, ad esempio, è interpretabile come luogo di ritrovo comune in caso di disastri naturali).

domenica 23 ottobre 2016

KARL R. POPPER

1 – Vita e opere (cenni).

1902-1932: nasce a Vienna, dove si abilita all’insegnamento della matematica e della fisica, e si dedica a studi filosofici (interessandosi, fra l’altro, anche dai fondamenti della psicologia analitica freudiana, e della sociologia d’ispirazione marxista);
1933-1945: pubblica “Logica della scoperta scientifica” (1934) ma, all’avvento del nazi-fascismo, viene costretto a trasferirsi in Nuova Zelanda, dove scrive “La miseria dello storicismo” (1936) e “La società aperta e i suoi nemici” (1939);
1946-1968: si stabilisce a Londra dove riprende, approfondisce e puntualizza le sue teorie epistemologiche (“Congetture e confutazioni”, 1963), che lo pongono frequentemente in contrasto con alcuni dei maggiori filosofi dell’epoca;
1969-1994: si ritira dall’insegnamento attivo, ma continua fino alla morte ad accettare inviti a conferenze e incontri interdisciplinari, e a divulgare (in forma anche ‘popolare’) la sua visione della natura, dell’uomo e della conoscenza (Teoria dei ‘tre mondi’).


 2 – Dalla verificabilità (empirica) alla ‘falsificabilità’ (logica).

Ne “La Logica della scoperta scientifica”, il Popper sostiene che:
  • se è vero che una teoria generale non può mai venir (logicamente) ‘verificata’: nella misura in cui non può mai esser 'congetturata’ sulla base di una pluralità di casi che mai può risultare - 'empiricamente' - conclusiva (per quanto ‘grande’ sia la quantità di cigni bianchi osservati, non si giustifica l’enunciato generale secondo cui “tutti i cigni sono bianchi”);
  • è anche vero che una teoria generale, può sempre venir (empiricamente) ‘falsificata’: nella misura in cui può sempre esser ‘confutata’ sulla base di un solo caso che sempre risulta – 'logicamente' - conclusivo (basta l’osservazione di ‘un' solo cigno nero perché risulti giustificato l’enunciato, di carattere generale, secondo cui “non tutti i cigni sono bianchi”).

 Ciò che si è soliti chiamare “verità” è quindi da identificarsi con il frutto:
a) non di improvvise intuizioni (logiche) o decisive esperienze (empiriche);
b) ma di una graduale quanto progressiva eliminazione degli 'errori' di volta in volta incontrati.

3 – Attacco allo ‘storicismo’: circa i ‘fini’ (assoluti) dell’agire umano.

In “Miseria dello storicismo” Karl Popper è teso a dimostrare che – pur dando vita a nuclei di pensiero scientifico destinati a rivelarsi decisivi per il mondo occidentale (si pensi all’atomismo di Leucippo e Democrito, negligentemente trascurato fino alle soglie dell’età moderna – da Parmenide (e Platone) a Hegel (e Marx) il discorso metafisico è andato spesso avallando l'esistenza di un principio a-temporale (e meta-empirico) che, immanente al divenire storico, permette per ciò stesso di poterne in qualche maniera 'guidarne' il corso.

In realtà, tutte le concezioni ‘finalistiche’ - secondo cui, il cammino storico dell’umanità, è da intendersi come un cammino verso il ‘realizzarsi’ della Verità (età antica) o della Bontà (età medioevale),  dalla Giustizia (età moderna), dell’Utilità (età contemporanea) etc. - trascurano il semplice fatto che, l’essere umano, mostra diagire”:
  • non sempre o non soltanto come essere ‘razionale’ (intenzionalmente impegnato a perseguire questo o quell’ideale – oggettivo - di verità o bontà, giustizia etc.);
  • ma anche, e a volte in prevalenza, come essere 'naturale' (inintenzionalmente mosso da istinti – soggettivi - di autoconservazione e riproduzione, propri di tutta la sua specie).
Le stesse 'spiegazioni' che gli storici offrono degli eventi umani  potrebbero venire tranquillamente distinte in ‘ellittiche’, ‘parziali’ o ‘incomplete’ ... a seconda che ‘enfatizzino’, ‘trascurino’ o diano addirittura per ‘scontati’ alcuni fini (ad esempio economici) rispetto ad altri fini.

4 – Difesa della ‘democrazia:  ‘trasparenza’ e ‘controllabilità’ delle procedure.

Per troppi secoli il pensiero politico è andato incentrandosi sul rapporto che avrebbe dovuto (o dovrebbe) sussistere fra “governanti” e “governati”: laddove, i primi, vengono sempre riconosciuti come tali dai secondi  in virtù di qualche - ‘oracolare’ - capacità di “indicare” i fini da perseguireovvero ciò che è più vero o giusto o buono o giusto rispetto ad altro.

Una volta constatato che è dal solo sviluppo” delle conoscenze scientifiche (e delle relative implicazioni ‘tecnologiche’) che deriva quello delle strutture (economiche), delle relazioni (sociali) e delle istituzioni (politiche), il filosofo ribatte a tale tradizione asserendo che, il reale problema della politica, stia nel chiedersi:
  • non tanto il “chi” (quale classe o gruppo o ‘élite’) - una volta e per tutte (in nome di una Verità considerata immutabile) – avrebbe potuto e/o dovrebbe governare;
  • quanto piuttosto il “come” - di volta in volta (in nome di una verità sempre mutevole) -  sia possibile ‘controllare ed emendare gli errori di chiunque venga preposto a ‘governare’.
Si può pertanto asserire di vivere (o meno) in una società “aperta” a seconda che – in vista di un sempre migliore ed efficiente auto-governo - le strutture cui siano state delegate la detenzione e l’ esercizio del potere politico lascino (o meno) gli individui liberi di:

  • conoscere tutti i 'reali' problemi emergenti dal contesto (‘trasparenza’ delle Istituzioni);
  • proporre ogni 'possibile' soluzione fra quelle praticabili (‘controllabilità’ delle procedure).
5 – I tre “mondi

 L'ultimo Popper distingue fra:
  1. Mondo 1 = la natura dei fatti fisici, che 'non mutano' con i segni chiamati a indicarli
  2. Mondo 2 = mondo delle esperienze 'soggettive' (pensieri sentimenti emozioni)
  3. Mondo 3 = problemi, teorie e argomentazioni (relazioni logiche e situazioni problematiche)
... laddove è interessante notare come, il mondo 2, sia l'unico abilitato a “interagire” contemporaneamente con gli altri due.

6 – Th. Kuhn: la ‘ricerca’ scientifica come successione (temporale) di ‘paradigmi’ formali.

Per Thomas Kuhn, il passaggio dalla fisica di Newton a quella di Einstein, dalla chimica di Paracelso a quella di Lavoisier, e dalla biologia di Buffon a quella di Darwin, testimonia del fatto che – al pari delle conoscenze di tipo storico-sociale – anche le conoscenze di tipo fisico-naturale mostrano di procedere:
a) non tanto per accumulazione e/o dispersione di ‘dati’ materiali (‘da’ interpretare);
b) quanto, piuttosto, per assunzione e/o destituzione di ‘paradigmi’ formali (‘che’ interpretano) …

… laddove, con il termine 'paradigmi', questi, da intendersi per Kuhn alla stregua di modelli teorici, orizzonti’ o ‘quadri’ concettuali (radicalmente diversi fra loro, ma in stretta correlazione ad ‘epoche’, conoscenze e ‘contesti’ diversi):
  • dal quale, solo, è possibile‘far emergere’ i problemi da risolvere (le‘domande’ da porre);
  • nel quale, solo, è possibile ‘far rientrare’ le soluzioni dei problemi (le‘risposte’ da dare);


7 – Th. Kuhn: periodi di scienza ‘normale’ e periodi di scienza ‘rivoluzionaria’.

Nei periodi di scienza ‘normale’ - in cui prevale un approccio 'verificazionista' ai fenomeni naturali - la ricerca continua a vertere per lo più intorno a quelle teorie che, in misura maggiore rispetto ad altre teorie, riescono a spiegare una certo numero - o quantità - di fatti (il fenomeno naturale è un 'ordine' da contemplare) ... : senonchè è proprio il ricorso reiterato a tali teorie che permette, alla comunità degli scienziati, di pervenire ad esperire - come ‘non ancora’ esperiti – ‘nuovi’ fatti.

Esempio di scienza ‘normale’ è quello rappresentato dal (vecchio) paradigma interpretativo offerto dalla teoria astronomica di C. Tolomeo, messa in crisi dalla (nuova) teoria astronomica di N. Copernico a cavallo fra ‘5 e ‘600.

Nei periodi di scienza ‘rivoluzionaria’ - in cui prevale invece l'approccio 'falsificazionista' - la ricerca verte invece sempre più intorno a quei fatti che,  in misura minore rispetto ad altri fatti, riescono a venir spiegati da un certo genere - o qualità - di teorie (il fenomeno naturale è un 'rompicapo' da risolvere) ... : senonchè è proprio il ricorso reiterata a tali fatti che permette, alla comunità degli scienziati,. di pervenire ad elaborare - come‘non ancora’ elaborate –nuove’ teorie.

Esempio di scienza ‘rivoluzionaria’ è quello rappresentato dal (nuovo) paradigma interpretativo offerto dalla fisica di A. Einstein e W. Heisenberg, subentrata alla (vecchia) fisica di G. Galilei ed I. Newton a cavallo fra ‘8 e ‘900.


"Quelle che nel mondo dello scienziato prima della rivoluzione erano anatre, appaiono dopo come conigli" (con riferimento alla famosa immagine elaborata da J. Jastrow nel 1892)
LUDWIG WITTGENSTEIN

1 – Vita e opere (cenni)

1889-1913: nasce a Vienna da una delle famiglie più colte della città (il padre è un industriale di primaria importanza per l’Impero asburgico, e la madre riceve in salotto alcuni dei più brillanti ingegni dell’epoca), e viene mandato a studiare matematica e ingegneria in Gran Bretagna;
1914-1921: partecipa al primo conflitto mondiale (nel corso del quale cade anche prigioniero degli italiani), e si reca quindi in Olanda, dove incontra il suo insegnante Bertrand Russell, con il quale concorda la stesura e la pubblicazione del “Tractatus logicus-philosophicus”;
1922-1929: si allontana dalla filosofia attiva, e trascorre gli anni seguenti improvvisandosi maestro (in alcune scuole elementari), giardiniere (in un convento di campagna) e architetto (per la realizzazione di una villa, ad uso di una delle sue amate sorelle);
1930-1951: torna a Cambridge per riprendervi l’attività filosofica (concretizzatasi nella stesura delle “Ricerche filosofiche”, pubblicate postume), per poi allontanarsene nuovamente allo scoppio del secondo conflitto mondiale (e scoprire, infine, di essere incurabilmente malato).


 2 – Primo e secondo Wittgenstein: il linguaggio come ‘sintassi’ e come ‘pragmatica’.

Si è soliti distinguere un 1° Wittgenstein (“Tractatus” del 1921) da un 2° Wittgenstein (“Ricerche” del 1951), di fatto ‘complementare’ al primo.

Infatti:
a)      mentre il Wittgenstein del “Tractatus”
-          interrogandosi sulla funzione puramente ‘descrittiva’ assunta da alcuni enunciati;
perviene ad evidenziare le possibilità, la validità e i limiti mostrati da ogni possibile linguaggio - di tipo logico o simbolico che sia - nel suo compito di “raffigurazione” del reale (sul piano sintattico, non meno che su quello empirico o anche pragmatico);

b)      il Wittgenstein delle “ricerche”
-          interrogandosi sulla valenza fattivamente ‘prescrittiva’ assunta da altri enunciati;
perviene a identificare i linguaggi ‘praticati’ con altrettanti “giochi”, volti a risolvere determinati problemi e alla luce di determinate regole (in funzione auto-terapeutica, risolvere problemi equivale a dissolverne, o de-costruirne, i termini in cui vengono posti).

3 – “Tractatus”: ‘co-estensività’ (o meno) di fatti e proposizioni.

Per il Wittgenstein del “Ttractatus”:
  • come i fatti (fisici) sono ‘co-estensivi’ al mondo naturale (e nel senso che non può venire ad ‘accadere’ fatto fisico che non accada ‘nel’ mondo naturale);
  • così le proposizioni (descrittive) sono ‘co-estensive’ al pensiero logico (e nel senso che non può venire a‘significare’ proposizione linguistica che non significhi ‘nel’ pensiero logico).

Una prospettiva questa, nella quale:

a) le proposizioni logiche (ad es.: “oggi piove o non piove”, oppure “ogni scapolo è ammogliato”) sono sempre - una volta e per tutte – verificate/falsificate ‘indipendente’ da ogni riferimento ai fatti denotati.
  • Coinvolgendo la sola relazione ‘sintattica’ (segni/segni), gli enunciati logici si sostanziano di termini che ‘non raffigurano’ alcunché del mondo reale ma attengono, piuttosto, a quelle che sono le‘regole stesse’ di ogni possibile processo raffigurativo;
b) le proposizioni scientifiche (ad es.: “l’elemento C fonde a X gradi centigradi”) possono anche - di volta in volta – risultare non verificabili/falsificabili ‘dipendentemente’ da un qualche riferimento ai fatti denotati.
  • Coinvolgendo anche la relazione ‘semantica’ (segni “denotanti”/cose “denotate”), gli enunciati scientifici si sostanziano di termini il cui valore di verità appare strettamente dipendente dalla ‘esperibilità’ (empirica) di ciò che tentano di raffigurare;
c) le proposizioni metafisiche (ad es.: “il figlio è consustanziale al Padre”, oppure “l’anima è eterna”, o anche “la giustizia esiste”) non sono mai  - una volta e per tutte (in eterno) - verificate - di volta in volta (nel tempo) – falsificabili.
  • Coinvolgendo la relazione ‘pragmatica’ – intercorrente fra segni “utilizzati” e soggetti “parlanti”– gli enunciati metafisici si sostanziano di termini rimandanti a entità di cui ‘non può aversi’ raffigurazionealcuna’ (“di ciò di cui non si può “parlare” occorre “tacere”).


4 – “Ricerche”: ‘giochi’ linguistici (‘regole d’uso’) e filosofia come ‘auto-terapia’.


Per il Wittgenstein delle “Ricerche”:
  • non tutti i ‘fatti’ sono ‘co-estensivi’ al mondo naturale: e nel senso che può venire ad accadere’ anche un fatto – come ad esempio un fatto ‘storico’ - che non accade ‘nel’ mondo naturale (il filosofo prende atto della totale irriducibilità speculativa della 'libertà' umana, le cui 'azioni' non sono infatti ne mai saranno 'prevedibili');
  • non tutte le ‘proposizioni’ sono ‘co-estensive’ al pensiero logico: e nel senso che, proposizioni linguistiche, possono giungere a‘significare’ anche ‘all’infuori’ del puro pensiero logico (è grazie alla funzione 'prescrittiva', oltre che descrittiva, del linguaggio che ognuno mostra infatti di 'gestire' il proprio rapportarsi a se, al mondo e agli altri).

In un’ottica rigorosamente anti-metafisica (non ha senso porsi domande circa ‘soggetti’ privi di un riscontro sul piano empirico), il filosofo ne deduce:
a) che ogni “particolare” linguaggio (logico, scientifico o metafisico che sia) si mostra, nella tradizione testuale (pre-scientifica e non) del pensiero filosofico occidentale, in parte ‘identico a’ e in parte ‘diverso da’ ogni altro linguaggio;
b) che, questa identità/diversità, è da addebitarsi alle “regole” d’uso per mezzo delle quali, di fatto, ogni singolo linguaggio mostra di de-/ri-contestualizzare termini (che non gli sono propri) negli universi di discorso (che gli sono propri);


Come nei giochi, il “significato” dei termini coincide infatti con la “funzione” che essi si trovano ad assolvere nel’ e per’ gli enunciati in cui vengono inseriti (si pensi al termine ‘soggetto’, spesso utilizzato in chiave ontologica non meno che logica) … e occorre pertanto:
a) smetterla di ‘privilegiare’ determinati linguaggi rispetto ad altri (come se quello logico, metafisico o scientifico, fossero in qualche misura più d’altri linguaggi abilitati a ‘riflettere’ ciò che è vero, giusto, etc.);
b) e iniziare, invece, ad ‘analizzare’ i modi e le forme in cui, ognuno, mostra - nella prassi concreta della quotidianità - di de- e ri- contestualizzare termini non propri in universi di discorso propri (filosofia come ‘auto-terapia’).

venerdì 21 ottobre 2016

I CIRCOLI DI VIENNA E BERLINO

1 – Jules-Henri Poincaré (1854-1912): la natura 'funzionale' dei codici.

Per J. H. Poincaré, la decisione di ‘optare’ per un codice linguistico piuttosto che per un altro  - e per una determinata geometria piuttosto che per un’altra – dipende solo dalla natura del contestoin cui” lo scienziato stesso si trova ad operare e “con cui” vuole, per qualche motivo, interagire.

Così:
se più 'funzionale' risulta ricorrere alla geometria euclidea tradizionale allorché si ha a che fare con lo spazio in cui ‘viviamo’ (per costruire un ponte, ad esempio);
più funzionali si rivelano invece essere le geometrie non-euclidee – di Riemann e Lobacevskij - allorché si ha a che fare con le forze elettromagnetiche proprie dello spazio sub-atomico, o con le onde gravitazionali proprie dello spazio inter-stellare.


 2 – Ernst Mach (1838-1916): ‘economia’ e ‘operatività’ del linguaggio scientifico.

Per E. Mach, sia colui “che” esperisce (ovvero la mente umana) sia ciò che è “da” esperire” (cioè il mondo naturale) possono essere considerati come poli opposti di una medesima esperienza ‘pura’ … un’esperienza, questa, che soltanto il linguaggio matematico si presta – per la sua ‘economicità’ simbolica (di numeri e figure) - a risolvere in pochi quanto immutabili ‘concetti-chiave’ (‘distanza’ spaziale e ‘intervallo’ temporale, materia o ‘massa’ e movimento o ‘velocità’, etc.).


3 – ‘Significanza’ logica e ‘verificabilità’ empirica.

Con il chiaro intento di permettere una distinzione fra enunciati scientifici ed enunciati metafisici, fra il 1915 e il 1918, M. Schlick (a Vienna) ed H. Reichenbach (a Berlino) ripartono dall’assunto secondo cui, gli enunciati ‘assertivi’ sono logicamente ‘significanti’ (= degni d’essere inseriti nei testi scientifici, ovvero ereditati e tramandati) se e finchè - gli ‘stati’ di cose da esse ‘descritti’ - risultano empiricamente ‘verificabili’ (= suscettibili di venire esperiti da chiunque, cioè inter-soggettivamente, e nel presente come in futuro).

4 – Rudolph Carnap (sulla 'verificabilità') e Otto Neurath (sulla 'significanza').

Rudolph Carnap (1891-1970) osserva che, a rigor di logica, il criterio di verificazione proposto da Schlick e Reichenbach porta a considerare come 'non verificabile' nessun tipo di enunciato ... o, meglio, a distinguere fra:

  • verificabilità ‘conclusiva’, che si ha quando è conclusiva l’esperienza degli stati di cose descritti dagli enunciati (ad es.:“tutti i libri sono composti di pagine”);
  • verificabilità ‘non conclusiva’, che si ha quando non è conclusiva l’esperienza degli stati di cose descritti dagli enunciati (ad es.: “tutte le stelle muoiono esplodendo”).

Per Otto Neurath (1882-1945), il problema della ‘fondatezza’ degli enunciati scientifici non può essere separato da quello relativo a un qualsiasi altro tipo  di enunciato … perchè:

  • un conto è la significanza ‘semantica’ intesa come corrispondenza ‘empirica’’ fra segni e referenti (per descrivere ‘efficacemente’ il mondo naturale, i segni linguistici devono rimandare a entità che risultino empiricamente esperibili).
  • un conto è invece la significanza ‘sintattica’ intesa come coerenza ‘logica’ fra segni e segni (per risultare ‘fruibile’ dalla ragione umana, un codice linguistico dev’essere composto da segni fra loro non-contraddittori, o di significato univoco);



mercoledì 19 ottobre 2016

MATEMATICA E FISICA

1 – Lobacevskij e Riemann (le geometrie 'non-euclidee').

Per secoli si era sempre creduto nel carattere di verità assoluta posseduto dalla geometria piana, o a curvatura nulla (la geometria euclidea) … una geometria, questa, per la quale esiste una ed una sola retta parallela passante per un punto esterno ad una retta data, e la somma degli angoli interni di un triangolo è sempre uguale a 180° (5° postulato).

Intorno alla metà dell’800, un esperimento’ di astro-fisica portò però a ‘constatare’ che, il triangolo immaginario costruito fra il pianeta Terra, il Sole e la stella Sirio, ha gli angoli interni ≠ 180°, e a ipotizzare di conseguenza che – attraverso la ‘negazione’ dell’evidenza del 5° postulato euclideo – si potessero ‘costruire’ geometrie ‘alternative’, non menovere’ di quella euclidea.

Di qui la nascita delle due geometrie ‘alternative’:
  • a curvatura negativa, o ‘iperbolica’ (Nikolaj Lobacevskij, 1792-1856), per la quale sono “∞” le rette parallele ad una retta data, e gli angoli interni di un triangolo < 180°
  • a curvatura positiva o ‘ellittica’ (Bernhard Riemann, 1826-1866), per la quale sono “0” le rette parallele ad una retta data, e gli angoli interni di un triangolo > 180°.


2 – Hilbert a Godel  (“intrascindibilità” di linguaggio e natura).

Per effetto delle implicazioni insite nella scoperta delle geometrie non-euclidee, fra 8' e '900 la cultura europea si trovò dinanzi:
a)      ad un ‘unico’ mondo (empirico) da descrivere;
b)      e – insieme – a ‘più’ codici (linguistici) con cui descrivere tale mondo.

Il 'formalista' David Hilbert credette di potersi dedicare alla ricerca di una sorta di “meta-matematica” con la quale soppesare la maggiore o minore ‘funzionalità’ di uno specifico modello matematico rispetto ad altri. Infatti:
a) se da un lato è vero che, alla matematica, non si era mai smesso di vedere come a un modello’ di sapere cui guardare per ‘impostare’ i modelli di ogni altro sapere (quasi fosse ‘eterno’, staticamente conchiuso o ‘definito’ in se);
b) è d’altro lato anche vero che, la stessa matematica, aveva mostrato di subire nei secoli diverse ‘metamorfosi’, con la nascita di ‘nuova’ matematica (gli infinitesimali, ad esempio) o con l’abbandono di ‘parti’ di essa (gli irrazionali).

In risposta al programma hilbertiano, Kurt Godel dimostrò però che la ‘fondatezza’ di un qualsivoglia modello linguistico non può essere dimostrata:

  • nè ricorrendo alla sola ‘esperienza’ del mondo naturale
Maggiore/minore “funzionalità” (empirica) – Impossibile stabilire quale modello, fra tutti i disponibili, risulti di fatto più ‘efficace’ ai fini di una descrizione (empirica) del cosmo … perchè impossibile è collocarsi ‘al di fuori’ del cosmo stesso per constatare la ‘forma’ ch’esso di fatto possiede (intrascindibilità della natura).

  • nè ricorrendo alla sola ‘facoltà’ intuitiva dell’uomo.
Maggiore/minore “verità” (logica) – Impossibile appurare la ‘non-contraddittorietà’ interna di un qualsivoglia modello ricorrendo a termini o enunciati (logici) appartenenti al modello stesso … perché ciò equivarrebbe al voler 'aggiustare' uno strumento 'ricorrendo' allo strumento stesso (intrascindibilità del linguaggio).



3 – Maxwell e Einstein: la ‘relatività’ (nuovi concetti di spazio, tempo e movimento.

Nel 1864 James Maxwell riuscì a spiegare l’insieme dei fenomeni elettrici e magnetici con una serie di formule che presupponevano – di contro a quanto creduto fino a quel momento – la ‘costanza’ della velocità con cui, le ‘onde’ elettromagnetiche stesse (fra cui  luce), si propagano nel vuoto.

Nel 1905, Albert Einstein pubblicò uno scritto in cui si sosteneva che:
a) posti due sistemi di riferimento inerziali P1 (in quiete) e P2 (in moto alla velocità della luce, pari a 300.000 km/s circa);
b) e posto il movimento di una particella di luce (o ‘fotone’) nello stesso verso, o direzione di P1;
c) la particella mostrerebbe di percorrere 300.000 km/s circa all’osservatore P, ma 0 km/s all’osservatore P1.

Così, ad esempio, se noi fossimo posti al centro di una stanza, e se al centro della medesima stanza, sopra di noi, fosse collocata una pila elettrica emittente luce sia innanzi che dietro di noi, la luce:
a) dovrebbe impiegare un egual tempo, e percorrere un eguale spazio, per raggiungere sia la parete innanzi che quella dietro di noi (se la stanza, cioè il sistema di riferimento, fosse ferma);
b) ma impiegherebbe tempi diversi, e percorrerebbe spazi diversi, per raggiungere le due pareti (se la stanza medesima fosse, invece, in movimento in avanti o all’indietro).

Dai calcoli matematici risulta infatti che, un mutamento della velocità, comporta:
a)      un ‘rallentamento/accellerazione’ dei tempi impiegati;
b)      e un ‘accorciamento/allungamento’ degli spazi percorsi; …
… che c’è insomma un rapporto di “proporzionalità” diretta fra materia ed energia, e che il fattore di “trasformazione” dell’una nell’altra è dato proprio dalla velocità della luce (E = m x c ).

Lungi dal poter continuare ad essere considerati valori ‘fissi’ o ‘assoluti’, valori come quello di “intervallo” (spaziale) e quello di “simultaneità” (temporale) devono insomma iniziare ad esser considerati valori ‘mutevoli’ o ‘relativi’ alla condizione di ‘quiete’ o di ‘movimento’, del sistema di coordinate da cui vengono ad essere ‘osservati’ e ‘misurati’.

 4 – Planck e Heisenberg : i ‘quanti’ (certezza e ‘probabilità’ del nesso causale.

Nel 1900 Max Planck osservò che, l’energia emessa o assorbita in un fenomeno fisico qualunque, deve essere intesa come una ‘grandezza’ non ‘continua’ ma ‘discreta’ (o ‘quantum’), in quanto sempre ‘multipla’ di un dato valore ‘elementare’ equivalente a:


Nel 1926, Werner Heisenberg ne dedusse che, mentre nel mondo dei fenomeni di energia superiore ad ‘h’ (di natura ‘corpuscolare’) è ancora possibile prevedere ‘con certezza’ posizione e movimento dei fenomeni stessi, nel mondo dei fenomeni di energia inferiore ad h (di natura ‘ondulatoria’), la previsione è invece da considerarsi non ‘certa’ ma soltanto ‘probabilistica’.

Nel mondo delle particelle sub-atomiche, l’atto osservativo risulta infatti esso stesso un ‘fatto’, in quanto atto in grado di condizionare i fatti osservati (colpiti da un fotone, le particelle sub-atomiche non possono fare a meno di assorbirne il corrispondente ‘quantum’ di energia, e ritrovarsi in luoghi e/o tempi diversi da quelli previsti secondo le leggi della meccanica classica) … : e - per il reciproco escludersi di misurazione della posizione e misurazione del movimento - risulta pertanto ‘strutturalmente’ impossibile 'distinguere’ - ciò che è effetto da ciò che è causa, o viceversa.