martedì 25 ottobre 2016

RELIGIONE E POLITICA

1 – Introduzione: gli anni del “totalitarismo”

Con espliciti riferimenti a Kierkegaard e Nietzsche, Heidegger e Gadamer, la teologia protestante degli anni fra il 1919 (“Epistola ai romani”) e il 1941 (“Nuovo Testamento e mitologia”) è tornata a interrogarsi circa:
a) la radicale 'irriducibilità' della trascendenza all'immanenza;
b) l’irrisolvibile 'tensione' che questa irriducibilità comporta fra le sfere del 'mondano e del divino.

Anche il pensiero politico germanico si è trovato a vivere, dagli anni fra il 1922 (“Teologia politica”) e il 1936 (“Dottrina del diritto puro”) un momento di particolare fervore, per effetto di una radicale messa in discussione dei 'presupposti' razionalisti del ‘giusnaturalismo’ di età moderna (stato di natura/di diritto, delega, ampliamento/limitazione di poteri e libertà, etc.).

2 - K. Barth e R. Bultmann: il “totalmente” altro e la “de-mitizzazione”.

-        Il “totalmente Altro” di Karl Barth (1886-1968)

Dio è il “totalmente altro”, ovvero una 'presenza':
  • non identificabile nè con l’intuibile colto nella sua unità/totalità formale (trascendenza) nè con l’esperibile inteso nella sua pluralità/infinità materiale (immanenza);
  • non esprimibile né in termini di soggetto 'logico' di predicazioni né in termini di soggetto 'ontologico' di proprietà (non “è” nell'altrui come nel proprio 'orizzonte' esperienziale).

Vivendo “nella fede”, il contatto costante con l’impensabile e l'inesprimibile per eccellenza:
a) comporta un altrettanto costante strutturarsi e ri-strutturarsi della coscienza (un continuo posizionarsi e ri-posizionarsi “nel” e “per” il mondo);

b) non ha altra causa o fine all'infuori del rivelare, a se stessi, la 'finitezza' di ogni possibile pensiero come la 'fallibilità' di ogni possibile azione.


-        La “de-mitizzazione” di Rudolf Bultmann (1884-1976)

Occore distinguere fra:
  • il Cristo “storico” – per sua natura 'inogettivabile' -  di cui si parla nei due Testamenti (con la loro lunga sequela 'simbolico-mitologica' di interventi miracolosi e visioni apocalittiche);
  • il Cristo “della fede” ('Kerygma' = Cristo ‘che parla’ nell'interiorità di ognuno, senza alcun bisogno di “ricostruirlo”, ovvero 'oggettivarlo', nella sua natura mondana e temporale) …

… laddove è soltanto grazie all'annunciarsi (nella coscienza) del secondo che – in termini assai vicini all’apertura dell’esser-ci heideggeriano - è  possibile comprendere il primo: e impegnarsi quindi per una 'riattivazione’ del vero significato dei Testi sacri, riconducendone l'intero apparato simbolico-mitologico al suo senso originario.


 3 – H. Kelsen & C. Schmitt: Costituzione “legale” e Istituzione “legittimante”

-        La Costituzione “legale” di Hans Kelsen (1881-1973)

Per Hans Kelsen è la Costituzione scritta a legittimare l’autorità da istituirsi.

In vista di una propria auto-giustificazione (razionale), il potere esercitato dallo Stato deve infatti potersi esplicare attraverso la disposizione di leggi che possono considerarsi “valide” se - e soltanto se -  non entrano formalmente in contrasto con altre leggi del medesimo “ordinamento”.


Proprio perché coincidente con un ordinamento giuridico positivo (con la pura ‘scienza’ del diritto), il problema dello Stato si rivela quindi sostanzialmente indifferente verso qualsiasi visione della Giustizia: che sia o meno favorevole ad un (ipotetico) “auto-governo” del popolo.

-        La Istituzione “legittimante” di Carl Schmitt (1888-1885)

In termini meno universalistici (e più “decisionisti”), Carl Schmitt esordisce affermando che è soltanto da una Autorità già istituita che, solo, ci si può attendere la legittimazione di una qualche costituzione da scriversi.

Nelle condizioni di “emergenza” (che sono logicamente anteriori rispetto a quelle di normalità), la Sovranità ha infatti modo di ottenere da subito obbedienza – alla Sua volontà - proprio “indicando” cosa siano ordine e sicurezza, e ‘quando’ essi risultino messi in pericolo.


All’esterno come all’interno, e per le più varie motivazioni, una società può infatti vivere una ‘separazione’ fra amico e nemico (che è cosa ben diversa da un ‘concorrente’ economico, o da un avversario culturale): così come si vive la separazione (morale) fra bene e male, o quelle – rispettivamente estetica ed economica – fra bello e brutto, e fra utile e dannoso.

3 – Sviluppi dell’antropologia: diffusionismo e funzionalismo

A cavallo fra ‘8 e ‘900 gli studi etnografici e antropologici si sono sviluppati fino al punto da elaborare una concezione molto più ampia del ‘concetto’ di cultura: come insieme di soluzioni (economiche, sociali e politiche ma, anche, scientifico-tecnologiche) elaborate dall’uomo – come singolo o appartenente a una comunità, a un gruppo, un insieme etc. - per far fronte alle esigenze impostegli dal ‘contesto’ (ambientale e umano) in cui si trova a vivere e con-vivere.

Per il britannico Edward B. Taylor (1832-1917), pur rispondendo a bisogni di tipo primario o anche secondario, queste soluzioni mostrano di seguire in ogni caso una medesima linea di sviluppo evolutivo, e possono pertanto venir ‘comparate’ fra loro (evoluzionismo euro-centrista).

Per Franz Boas (1858-1942) queste soluzioni sono invece state ebarorate in tempi e luoghi ben definiti, per poi “diffondersi” con tempi e modalità diversi nei contesti e nelle regioni limitrofe (dal neolitico in poi, l’agricoltura e la ceramica, il ferro, la scrittura etc.).

Per Bronislaw Malinowski (1884-1942) queste soluzioni possono infine essere indagate soltanto dal ‘punto di vista’ della struttura organizzativa in cui mostrano, appunto, di ‘funzionare’ (così il Totem, ad esempio, è interpretabile come luogo di ritrovo comune in caso di disastri naturali).

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