sabato 8 ottobre 2016

KARL MARX

Vita e opere (cenni)

1818-1841: nasce a Treviri da una famiglia di origine ebraica, ma riceve una educazione di stampo laico e liberale a conclusione della quale prende moglie, e tenta di avviarsi (con modesti risultati) alla carriera accademica e giornalistica;
1842-1848: colpito dalla censura, si sottrae a nuovi provvedimenti polizieschi spostandosi a Parigi (dove conosce Proudhon, Bakunin ed Engels), a Bruxelles (dove scrive “Miseria della filosofia” e “Ideologia tedesca”) e, infine, a Londra (dove scrive il “Manifesto”);
1849:1883: lavora al British Museum, e può fare affidamento sul sostegno finanziario dell’inseparabile Engels per sovrintendere all’organizzazione dei lavoratori (la prima “Internazionale”, 1864-’72) e alla stesura del suo massimo capolavoro filosofico (“Il Capitale”, 1867-’94).


IL “MATERIALISMO” STORICO

I “MANOSCRITTI ECONOMICO-FILOSOFICI” (le idee e la ‘realtà’).

Rovesciando i termini del logicismo hegeliano, Marx afferma che è l’uomo materiale (l’uomo produttore di cibo, vestiti e case) a rendere possibile – cioè a precedere - l’uomo formale (l’uomo produttore di verità e valori), e non viceversa ... e occorre quindi riconoscere priorità cronologica:
  • non alla non-autosufficienza formale’ del concetto ‘pensato’ (che permette, al soggetto, di riconoscersi indispensabile come soggetto ‘pensante');
  • ma alla non-autosufficienza ‘materiale’ dell’oggetto ‘prodotto’ (che permette, al soggetto, di riconoscersi indispensabile come soggetto ‘produttore').
L’unico e vero soggetto della storia è insomma da riconoscersi:
  • non – ideologicamente - in quella entità ‘astratta’ che è lo Spirito, il cui divenire viene descritto da Hegel in termini di ‘tappe’ derivanti l’una dall’altra secondo una sequenzialità puramente "logica";
  • ma – scientificamente - in quelle entità ‘concrete’ che sono gli esseri umani, il cui divenire si svolge secondo ‘stadi’ coincidenti con ‘modalità’ di organizzazione (sociale) e gestione (politica) delle attività (economiche).

 “L’IDEOLOGIA TEDESCA” (Struttura e sovra-strutture).

Da sempre oscillanti fra i due opposti poli del ‘bisogno’ (che sempre torna a riproporsi) e del ‘soddisfacimento’ del bisogno (che sempre è temporaneo), gli esseri umani sono da sempre impegnati a:

a)      ‘fornirsi’ dei mezzi atti a soddisfare i propri bisogni materiali;
- in termini di ‘materie prime’, ‘strumenti’ atti a 'trasformare' le materie in prodotti finiti, e ‘uomini’ atti a 'far funzionare' tali strumenti (struttura economica);
b)      ‘organizzare’ le relative modalità di produzione, circolazione e consumo dei beni;
in termini di ‘divisione’ delle mansioni lavorative e ‘re-distribuzione’ delle ricchezze prodotte (sovra-struttura sociale);
c)      ‘giustificare’ la conseguente gerarchicizzazione in ceti o classi.
in termini di 'giustezza' dei fini perseguiti ed 'efficacia' dei mezzi adottati, 'verità' dei principii conoscitivi, e 'bontà' dei valori etici (sovra-sovra-struttura ideologica).

Ma cosa accade quando – “appropriandosi” degli 'strumenti' - i datori di lavoro si pongono per ciò stesso in condizione di “espropriare” i lavoratori della loro “forza-lavoro” ?

IL “MANIFESTO” (Oppressori e 'oppressi’).

Nel “Manifesto” (1848), Marx afferma che:
a)    ogni epoca storica appare caratterizzata dalla contrapposizione tra una classe di ‘oppressori’ e una classe di ‘oppressi’ (la storia è sempre storia di 'lotte di classe');
b)    a permettere agli oppressori di “sfruttare” la “forza-lavoro” degli oppressi, è il “possesso” dei mezzi di produzione (beni primari, terrieri e, quindi, industriali).


  • ANTICHITA’ = la classe dei padroni sfrutta quella dei servi grazie al possesso dei beni primari;
  • MEDIOEVO = la classe dei feudatari sfrutta quella dei contadini grazie al possesso dei beni terrieri;
  • MODERNITA’ = la classe dei borghesi sfrutta quella dei proletari grazie al possesso dei beni industriali.


Ad ognuno di questi ‘passaggi’ corrisponde una ‘rivoluzione’, allorchè – l’equilibrio fra struttura (che tende a evolversi con l’evolversi delle scienze e delle tecniche) e sovra-strutture (che tendono invece a permanere con il permanere delle istituzioni, e delle loro ‘narrazioni’) – si rompe con il rompersi dell’equilibrio fra:

a) classe di oppressi (servi, contadini e proletari) che - sempre più ‘espropriati’ della forza-lavoro (intesa come valore ‘che produce’) . sempre più vanno aumentando, nella direzione di una sempre maggiore ‘solidarietà’ sociale (‘coscienza’ di classe);
b) una classe di oppressori (padroni, feudatari e borghesi) che – sempre più ‘appropriandosi’ della forza-lavoro (intesa come valore ‘da consumare’) – sempre più vanno diminuendo, nella direzione di una sempre maggiore ‘competitività’ individuale (conflitto fra ‘oligopoli’).


IL “CAPITALE”

LE CRITICHE AI SOCIALISTI “UTOPISTI” E AGLI ECONOMISTI “CLASSICI”.

I socialisti ‘utopisti’ francesi (Fourier, Proudhon, etc.):
a)    hanno avuto il merito di portare l’attenzione sulle tristi ‘condizioni’ di vita dei lavoratori (non ancora 'tutelati' riguardo a tempi o spazi di lavoro, misure previdenziali etc.);
b)    ma si sono limitati a proporne soluzioni ‘per nulla’ vincolanti (soluzioni puramente etiche o ‘solidaristiche’, sempre e soltanto ‘possibilitate’, e non mai 'necessitate', ad esser condivise).

Gli economisti ‘classici' inglesi (Smith, Ricardo, etc.):
a)    hanno avuto il merito di scoprire le diverse variabili’ del fatto economico (in particolare, le cosiddette leggi del mercato, ovvero le leggi’ del lavoro/valore e del prezzo/quantità);
b)    ma non hanno fornito nessuna ‘spiegazione’ scientifica circa il fenomeno dello 'sfruttamento' (per effetto del quale sempre meno vanno arricchendosi mentre, sempre più, vanno impoverendosi).

LA CONTRADDIZIONE “INTERNA” AL SISTEMA: PLUS-VALORE E SALARIO.

Nel “Capitale” Karl Marx intende dimostrare – scientificamente - che  la 'contraddizione’ destinata a segnare la fine del sistema capitalistico-industriale è in realtà ‘interna’ al sistema stesso.

In possesso dei mezzi di produzione, il datore di lavoro vuole solo ‘ammortizzare’ le spese derivantegli:
  • dall’acquisto delle materie prime (il cui prezzo dipende da contingenze geo-politiche);
  • dall’aggiornamento delle attrezzature (per mantenere elevato il proprio livello di competitività);
  • dalla distribuzione dei prodotti finiti (il cui prezzo dipende dallo sviluppo delle infra-strutture) …


… e persegue tale obiettivo costringendo il lavoratore a produrre - in tempi di lavoro più ‘lunghi’ o più ‘intensi’ (ad esempio 8 ore di lavoro di cui soltanto 6 ripagate, o anche 6 ore di lavoro in cui produrre per un equivalente di 8) - una quantità di ricchezza ‘maggiore’ (plus-valore) rispetto a quella necessaria a mantenere semplicemente ‘in vita’ il lavoratore stesso (salario).

GLI EFFETTI DELLA “MERCIFICAZIONE”: FETICIZZAZIONE E ALIENAZIONE.

Privo dei mezzi di produzione, e come mera “forza-lavoro”, il lavoratore è invece libero solo di lasciarsi compra-vendere – sul mercato - al pari di materie prime e prodotti finiti (= ‘mercificazione’ della forza lavoro) … cioè libero soltanto di lasciarsi privare della sua stessa “dignità” di essere umano:

a)    dinanzi a se stesso (= lavoratore come soggetto di ‘pensiero’ eteronomo);
al proletario non appartiene né il ‘progetto’ iniziale né il ‘prodotto’ finale, e il bene prodotto finisce quindi per 'ergerglisi' innanzi come ‘oggettivizzazione’ di una creatività ‘altra’ dalla propria (‘feticizzazione’ della merce).

b)    dinanzi agli altri (= lavoratore come soggetto di ‘azione’ eteronoma).
al proletario non appartengono neppure gli strumenti di lavoro, che egli è chiamato a ‘far funzionare’ senza neppure sapere ‘come’, e questo lo spinge a scoprirsi 'ridotto' a inerte ‘rotellina’ di un ingranaggio (‘alienazione’ della forza-lavoro).


SOCIALISMO E SOCIALDEMOCRAZIA.

Nell'analisi 'scientifica' di Marx:
  • lo sfruttamento capitalista può aver fine solo con il ‘passaggio’ di  proprietà dei mezzi di produzione dai datori di lavoro (proprietà ‘privata’) ai lavoratori (proprietà ‘comune’);
  • questo passaggio dev’esser perseguito, nei termini di una ‘collettivizzazione’ di terre e fabbriche, attraverso una ‘temporanea’ presa del potere da parte dei lavoratori (dittatura del proletariato).
Eduard Bernstein (1895) getta le basi della social-democrazia affermando che:
  • borghesia e proletariato si sono andate articolando in diverse sotto-classi, e le loro rispettive rivendicazioni si sono andate concretizzando nel conseguimento d'importanti risultati (in ambito sindacale, non meno che in quello imprenditoriale);
  • occorre quindi abbandonare ogni strategia ‘rivoluzionaria’ (volta a contrapporre gli interessi delle diverse classi in ambito extra-parlamentare), e abbracciare di contro una strategia ‘riformista’ (volta a conciliare gli opposti interessi in sede parlamentare).
Per Vladimir Lenin (1905) la cosiddetta ‘coscienza di classe’ (cioè la consapevolezza della propria riduzione a mera condizione ‘materiale’ del processo produttivo) deve invece continuare ad essere ‘indotta’ negli operai:
  • ‘al di fuori’ delle forze produttive (cui, i lavoratori, inevitabilmente, appartengono);
  • ‘al di là’ dei rapporti di produzione (che, altrettanto inevitabilmente, i datori di lavoro instaurano) …
… una coscienza, questa, che è compito precipuo dell' intellettuale ‘organico’ (agli “apparati” del partito) preservare e trasmettere ai fini di una rifondazione 'formale' del processo produttivo stesso.


Di fatto, la vera novità negli studi di politica economica sarà rappresentata dalla figura di John Maynard Keynes (1883-1946), per il quale – in contrasto con quanto asserito da Adam Smith – lo Stato può e anzi deve intervenire nella sfera economica:
a) svalutando o meno la moneta (commercio estero);
b) regolamentando orari, prezzi e salari (commercio interno);
c) diminuendo la produzione (incentivi) o aumentando il consumo (pubblicità);
d) sanzionando l’evasione fiscale o il ricorso a pratiche di compra-vendita scorrette.


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