SOREN KIERKEGAARD
1 – Il Padre, Regina Olsen e il Vescovo.
A parte un breve viaggio a Berlino (durante il quale ha modo di
conoscere il 'sistema' hegeliano), tre eventi – o meglio, tre persone – hanno
segnato la vita di Soren Kierkegaard (1813-1855):
- il ricordo del padre, Michel Pedersen, commerciante di Copenhagen, che sembra smentire il suo ‘rigorismo’ risposandosi a pochi mesi dalla morte della prima moglie (rifiuto dell’autoritarismo’ familiare);
- la rottura del fidanzamento con Regina Olsen, di buona famiglia, che abbandona perché ‘bruciato’ dall’eternità, ovvero solo ‘potenzialmete’ padrone di ‘se’ stesso (rifiuto del ‘conformismo’ sociale);
- la posizione del vescovo Jakob Mynster, teologo d’ispirazione hegeliana, che ne attacca le convinzioni in nome di un ‘dottrinarismo’ tanto sterile quanto anacronistico (rifiuto dello ‘speculativismo’ teologico).
Per Kierkegaard:
- non è l’uomo che, come soggetto ‘teoreticamente’ condizionato (come soggetto 'esperiente'), possa in qualche modo ‘porre’ Dio quale oggetto moralmente incondizionato … : ovvero come Essere di cui - in virtù e per mezzo di forme a-priori - si possano ‘accertare’ la natura e/o ‘descrivere’ le determinazioni' (le caratteristiche, o proprietà);
- ma è Dio che, come oggetto ‘teoreticamente’ incondizionato (come oggetto 'inesperibile'), pone l’uomo come soggetto moralmente condizionato ... : cioè come ‘identità’ esistenziale che - nello spazio come nel tempo - ognuno può accettare ‘oppure’ rifiutare di realizzare o “costruire” nella sua unicità e irripetibilità (nella sua 'singolarità').
- nessuno può pensare di razionalizzare 'ex ante' (= 'prima' di farne esperienza) … se non a rischio di 'giocare' al cristianesimo (adeguandosi al ‘conformismo’ imperante, per attraversare ‘senza scosse’ il mare magnum della vita) e 'tradirne' il messaggio (identificabile con la 'imitatio Christi');
- ognuno è chiamato a ‘costruire’ (con l’insieme delle proprie ‘scelte’, e delle proprie ‘decisioni’) … in termini che per ognuno risultano tanto insostituibili quanto irreversibili (io non posso vivere la tua vita, né tu puoi vivere la mia vita, ma ‘ognuno’ deve vivere la ‘propria’ vita).
3 – ‘Eteronimia’ e ‘stadi’ dell’esistenza.
Kierkegaard ricorre nei suoi scritti a una pluralità di eteronimi (Victor l’Eremita, Johannes Climacus, e altri): perché – il rifiutare la convinzione di poter giungere a possedere ‘una’ sola o definitiva ‘identità’ – corrisponde per lui all’accettare di non assumerne ‘nessuna’ ... oppure di fingerne ‘tante’.
Di qui la necessità di enucleare – cioè di simulare (per fini puramente comunicativi) - una serie di ‘modalità di esistenza’:
a) che il filosofo definisce ‘stadi’ (quello ‘estetico’ del seduttore Giovanni, quello ‘etico’ del buon marito e onesto lavoratore, e infine quello ‘religioso’ del patriarca Abramo);
b) che si susseguono in modo non necessario (= ‘automatico’) ma ‘possibile’ (= ‘libero’) ... cioè per balzi o ‘salti’, imprevisti e imprevedibili, che ognuno decide di compiere (o meno) solo sotto la spinta dell’insofferenza per ciò che, ogni singolo stadio, comporta.
4 – “Aut-aut” (1843): la vita estetica del Don Giovanni (la noia).
Nella vita ‘estetica’, l’individuo crede (vanamente) di poter vivere ogni istante della sua vita ‘indipendentemente’ da ogni altro istante passato e futuro … come se, tale istante, non avesse origine da quelli passati e non desse origine a quelli futuri (‘rifiuto’ della progettualità).
Nella vita ‘estetica’, l’individuo crede (vanamente) di poter vivere ogni istante della sua vita ‘indipendentemente’ da ogni altro istante passato e futuro … come se, tale istante, non avesse origine da quelli passati e non desse origine a quelli futuri (‘rifiuto’ della progettualità).
- Così, ad esempio, il seduttore Giovanni ama questa e quella donna ... non per amore della donna in quanto tale (la donna come 'fine') ma per amore del piacere che, 'attraverso' questa o quella donna, è possibile conseguire (la donna come 'mezzo').
Don Giovanni:
- dà per scontato che, le infinite possibilità di esistenza, sono destinate a rivelarsi “identiche” fra loro e, quindi, ‘non’ sceglie di costruirsi una identità attraverso scelte e decisioni (‘non’ si pone in cammino) …
- ... per poi scoprire che - senza ‘alcun’ centro – non v’è identità alcuna che possa ‘riconoscer-si’ e/o ‘dir-si’, a se stessa, come tale ("noia", come ‘assenza’ di un io da appagare).
Nella vita ‘etica’, l’individuo ritiene (pretenziosamente) di dover vivere ogni istante della sua vita ‘dipendentemente’ da quelli passati e futuri … come se, ogni istante, avesse origine da quelli passati e desse origine a quelli futuri (‘accettazione’ della progettualità).
· Così, ad esempio, il marito
ama il lavoro ‘per’ l’amore della donna e la
donna ‘per’ il benessere della famiglia, il benessere della famiglia ‘per'
la bontà delle relazioni sociali e le relazioni sociali 'per'
la giustizia dello Stato, etc.
Il marito:
- dà per scontato che, le infinite possibilità di esistenza, sono destinate a rivelarsi “diverse” fra loro e, pertanto, ‘sceglie’ di costruirsi una identità attraverso scelte e decisioni (‘si pone’ in cammino) ...
- ... per poi scoprire che - intorno ad ‘un’ centro – l’identità si delinea come un qualcosa di spazialmente ‘fallibile’, e temporalmente ‘in fieri’ ("angoscia", come presenza di un io ‘inappagabile’).
Nella vita ‘religiosa’, l’individuo abbandona:
- sia la vanità del ‘poter’ vivere ogni istante come fine a se stesso (rifiuto ‘estetico’ della progettualità);
- sia la pretenziosità del ‘dover’ vivere ogni istante alla luce dei precedenti e/o in vista dei successivi (accettazione ‘etica’ della progettualità) …
… e – ‘rinunciando’ all'idea stessa di non
volere/volere “direzionare” la propria esistenza – spera quindi che sia
Dio stesso a farlo (“disperazione” come inevitabilità dello “smacco”).
Solo con se stesso, come abbandonato al centro di una radura deserta, ognuno sa di potersi (e quindi doversi) porre in cammino in una certa direzione (sa cioè di esser libero): ma senza che ‘nessuno’ gli indichi – in anticipo - quale direzione sia più giusta, o utile, rispetto alle altre direzioni possibili ... ed è proprio la più totale assenza di ‘garanzie’ a rendere razionalmente ‘paradossale’ (l’esito è ‘imprevedibile’) e socialmente ‘scandalosa’ (l’esito è ‘indipendente’ dal possesso di beni materiali) il tipo di esistenza tentato dall’uomo di fede.
Infatti:
- come Dio chiede ad Abramo di ‘sacrificare’ – nel presente – ciò a cui più di ogni altra cosa tiene (suo figlio Isacco, avuto da Sara dopo tanti anni di sacrifici) con la sola promessa che quello stesso bene gli verrà ‘restituito’ in futuro;
- così Dio chiede ad ogni uomo di ‘rinunciare’ – nel presente – ad ogni bene o certezza (a tutto ciò che ne specifica l’esistenza terrena, in termini naturali non meno che storici) con la sola promessa che, sempre in futuro, gli verranno ‘donati’.
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