LUDWIG WITTGENSTEIN
1 – Vita e opere (cenni)
1889-1913: nasce a Vienna da una
delle famiglie più colte della città (il padre è un industriale di primaria
importanza per l’Impero asburgico, e la madre riceve in salotto alcuni dei più
brillanti ingegni dell’epoca), e viene mandato a studiare matematica e
ingegneria in Gran Bretagna;
1914-1921: partecipa al primo
conflitto mondiale (nel corso del quale cade anche prigioniero degli italiani),
e si reca quindi in Olanda, dove incontra il suo insegnante Bertrand Russell,
con il quale concorda la stesura e la pubblicazione del “Tractatus
logicus-philosophicus”;
1922-1929: si allontana dalla
filosofia attiva, e trascorre gli anni seguenti improvvisandosi maestro (in
alcune scuole elementari), giardiniere (in un convento di campagna) e
architetto (per la realizzazione di una villa, ad uso di una delle sue amate
sorelle);
1930-1951: torna a Cambridge per
riprendervi l’attività filosofica (concretizzatasi nella stesura delle “Ricerche
filosofiche”, pubblicate postume), per poi allontanarsene nuovamente allo
scoppio del secondo conflitto mondiale (e scoprire, infine, di essere
incurabilmente malato).
Si è soliti distinguere un 1° Wittgenstein (“Tractatus” del 1921) da un
2° Wittgenstein (“Ricerche” del 1951), di fatto ‘complementare’ al primo.
Infatti:
a)
mentre il Wittgenstein
del “Tractatus”
-
interrogandosi sulla funzione puramente ‘descrittiva’
assunta da alcuni enunciati;
perviene ad evidenziare
le possibilità, la
validità e i limiti mostrati da ogni
possibile linguaggio - di tipo logico o simbolico che sia - nel suo compito di “raffigurazione”
del reale (sul piano sintattico, non meno che su quello empirico o anche pragmatico);
b)
il Wittgenstein delle “ricerche”
-
interrogandosi sulla valenza fattivamente ‘prescrittiva’
assunta da altri enunciati;
perviene a
identificare i linguaggi ‘praticati’ con altrettanti “giochi”, volti a risolvere determinati problemi e alla luce di determinate regole (in funzione auto-terapeutica, risolvere problemi
equivale a dissolverne, o de-costruirne,
i termini in cui vengono posti).
3 – “Tractatus”:
‘co-estensività’ (o meno) di fatti e proposizioni.
Per il Wittgenstein del
“Ttractatus”:
- come i fatti (fisici) sono ‘co-estensivi’ al mondo naturale (e nel senso che non può venire ad ‘accadere’ fatto fisico che non accada ‘nel’ mondo naturale);
- così le proposizioni (descrittive) sono ‘co-estensive’ al pensiero logico (e nel senso che non può venire a‘significare’ proposizione linguistica che non significhi ‘nel’ pensiero logico).
Una prospettiva questa, nella quale:
a) le proposizioni logiche (ad es.: “oggi piove o non
piove”, oppure “ogni scapolo è ammogliato”) sono sempre - una volta e per tutte
– verificate/falsificate ‘indipendente’ da ogni riferimento
ai fatti denotati.
- Coinvolgendo la sola relazione ‘sintattica’ (segni/segni), gli enunciati logici si sostanziano di termini che ‘non raffigurano’ alcunché del mondo reale ma attengono, piuttosto, a quelle che sono le‘regole stesse’ di ogni possibile processo raffigurativo;
b) le proposizioni scientifiche (ad es.: “l’elemento C
fonde a X gradi centigradi”) possono anche - di volta in volta – risultare non verificabili/falsificabili
‘dipendentemente’
da un qualche riferimento ai fatti denotati.
- Coinvolgendo anche la relazione ‘semantica’ (segni “denotanti”/cose “denotate”), gli enunciati scientifici si sostanziano di termini il cui valore di verità appare strettamente dipendente dalla ‘esperibilità’ (empirica) di ciò che tentano di raffigurare;
c) le proposizioni metafisiche (ad es.: “il figlio è consustanziale
al Padre”, oppure “l’anima è eterna”, o anche “la giustizia esiste”) non sono
mai nè
- una volta e per tutte (in eterno) -
verificate
né - di volta in volta (nel
tempo) – falsificabili.
- Coinvolgendo la relazione ‘pragmatica’ –
intercorrente fra segni “utilizzati” e soggetti “parlanti”– gli enunciati
metafisici si sostanziano di termini rimandanti a entità di cui ‘non può aversi’ raffigurazione ‘alcuna’ (“di ciò di cui non si può “parlare” occorre “tacere”).
4 – “Ricerche”: ‘giochi’
linguistici (‘regole d’uso’) e filosofia come ‘auto-terapia’.
Per il Wittgenstein delle
“Ricerche”:
- non tutti i ‘fatti’ sono ‘co-estensivi’ al mondo naturale: e nel senso che può venire ad ‘accadere’ anche un fatto – come ad esempio un fatto ‘storico’ - che non accade ‘nel’ mondo naturale (il filosofo prende atto della totale irriducibilità speculativa della 'libertà' umana, le cui 'azioni' non sono infatti ne mai saranno 'prevedibili');
- non tutte le ‘proposizioni’ sono ‘co-estensive’ al pensiero logico: e nel senso che, proposizioni linguistiche, possono giungere a‘significare’ anche ‘all’infuori’ del puro pensiero logico (è grazie alla funzione 'prescrittiva', oltre che descrittiva, del linguaggio che ognuno mostra infatti di 'gestire' il proprio rapportarsi a se, al mondo e agli altri).
In un’ottica rigorosamente anti-metafisica (non ha senso porsi domande circa ‘soggetti’ privi di un riscontro sul piano empirico), il filosofo ne deduce:
a) che ogni “particolare” linguaggio (logico,
scientifico o metafisico che sia) si mostra, nella tradizione testuale (pre-scientifica
e non) del pensiero filosofico occidentale, in parte ‘identico a’ e in parte ‘diverso
da’ ogni altro linguaggio;
b) che, questa identità/diversità, è da addebitarsi alle “regole” d’uso per mezzo
delle quali, di fatto, ogni singolo linguaggio mostra di de-/ri-contestualizzare
termini (che non gli
sono propri) negli universi di discorso (che gli sono propri);
Come nei giochi, il “significato” dei termini coincide infatti con la “funzione” che essi si trovano ad assolvere ‘nel’ e ‘per’ gli enunciati in cui vengono inseriti (si pensi al termine ‘soggetto’, spesso utilizzato in chiave ontologica non meno che logica) … e occorre pertanto:
a) smetterla di ‘privilegiare’
determinati linguaggi rispetto ad altri (come se quello logico, metafisico o
scientifico, fossero in qualche misura più d’altri linguaggi abilitati a
‘riflettere’ ciò che è vero, giusto, etc.);
b) e iniziare, invece, ad ‘analizzare’ i modi e le forme in cui, ognuno, mostra
- nella prassi concreta della quotidianità - di de- e ri- contestualizzare termini
non propri in universi di discorso propri (filosofia come ‘auto-terapia’).
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