sabato 15 ottobre 2016

ARTHUR SCHOPENHAUER

1 – Vita e opere (cenni).

1788-1818: nasce a Danzica da un ricco banchiere (poi rinvenuto suicida), e da una scrittrice di romanzi che lo pone in contatto con filosofi e poeti (Fichte e Goethe), uomini di scienza e orientalisti (tra i quali Friederich Meyer, studioso delle ‘Upanishad’), ma da cui si allontanerà irrimediabilmente (al suo secondo matrimonio).
1818-1836: laureatosi con lo scritto “Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente”, tenta di contrastare il predominio di Hegel dando provocatoriamente lezioni in contemporanea con lui, e pubblicando “Il mondo come volontà e rappresentazione" (nel 1818, ma senza alcun successo).
1836-1860: fallito un tentativo di lasciare la Germania (“La volontà della natura” e “I due problemi fondamentali dell’etica”, vengono scritti per le Accademie di Oslo e Copenhagen, 1836-’41), si stabilisce a Francoforte, dove vive gli ultimi anni scrivendo aforismi e ‘pensieri vari’ (“Parerga e paralipomeni”, 1851).


 2 – La conoscenza (razionale) come ‘inganno’.

Nella “Quadruplice radice del principio di ragion sufficiente”, Schopenhauer riconduce il razionalizzare (il “rappresentare” attraverso le forme a priori, per usare la terminologia dei post-kantiani) al relazionare:
·         ESSERE – posizione a movimento e viceversa (matematica);
·         DIVENIRE – effetti a cause e viceversa (fisica);
·         CONOSCERE – conclusioni a premesse e viceversa (logica);
·         AGIRE – fini a mezzi e viceversa (etica).

Ne “Il mondo come volontà e come rappresentazione” il filosofo si mostra però ancor più radicale perchè:
a) svaluta l’attività ‘rappresentativa’ in quanto tale (in quanto attività che, in termini puramente auto-consolatori, mostra di velare’ piuttosto che svelare la reale natura delle cose);
b) sottolinea l’incidenza che sull’uomo - e sulle relazioni ch’egli instaura con se stesso, il mondo e gli altri - ha l'essenza ‘noumenica’ del reale come ‘Wille zum leben’ (‘volontà di vivere’).



In termini più articolati, egli vi asserisce infatti che:
  • mentre nel mondo come ‘fenomeno’ (= mondo conosciuto ‘in virtù e per mezzo’ delle forme a priori), la presenza formale del principio di non-contraddizione fa si che – nel mondo come ‘conoscenza’ (razionale) - sussista una distinzione altrettanto ‘formale’ fra ciò che è o non è, diviene o non diviene, si conosce o non si conosce, ed agisce o non agisce;
  • nel mondo come ‘noumeno’ (= mondo esistente ‘indipendentemente’ dalle forme a priori), l’assenza materiale del principio di ragion sufficiente fa invece si che – nel mondo come ‘volontà’ (reale) - sussista una indistinzione altrettanto ‘materiale’ fra ciò che è o non è, diviene o non diviene, si conosce o non si conosce, ed agisce o non agisce.

3 - La volontà (reale) come ‘dolore’.

Avendo origine ‘da’ questa o quella coscienza, l’attività rappresentativa produce ‘verità’ e/o ‘valori’ che hanno significato o senso solo 'in'‘per’ questa o quella coscienza ... e - da questo bozzolo in cui ci si chiude al pari di un insetto (solipsismo) - la coscienza stessa non può fuoriuscire che:
a) distogliendo’ il proprio sguardo da ogni possibile ‘verità’ o ‘valore’, in quanto appunto frutto di una razionalizzazione sempre e comunque ‘soggettiva’ (razionalità come 'velo di Maya');
b) ‘volgendo’ lo sguardo stesso alla propria ‘corporeità, come ad uno dei diversi gradi in cui – come essenza ‘noumenica’ del mondo - si concretizza la ‘volontà di vivere’ (corporeità come ‘filo di Arianna’).


E’ infatti soltanto ‘vivendo’ la propria ‘corporeità’ che è dato, a ognuno, di ‘vivere’ se stesso - e, quindi, tutta la realtà - come espressione di una unica o medesima ‘volontà’ una volontà, questa, che:
  • rimane ‘sempre’ e ‘ovunque’ uguale a se stessa (non è ‘spazialmente’ più qui che altrove, o ‘temporalmente’ più nel presente che in passato, o nel futuro);
  • non ha altra ha causa o fine all’infuori di se (è da sempre, e per sempre, interessata soltanto a ‘perpetuare’ se stessa);
  • si concretizza secondo gradi di 'complessità' crescente (dall'indistinto al distinto, dall’inarticolato all’articolato, dall’ inorganico all’organico, etc.).

4 – Contemplazione (estetica), compassione (etica) e ‘noluntas’ (ascetica).

Nell’uomo, la ‘Wille zum leben’ come ‘essenza’ noumenica del mondo si traduce in una costante quanto tragica ‘oscillazione’ fra:
  • dolore (presenza del 'bisogno', come assenza di soddisfacimento);
  • e noia (presenza del 'soddisfacimento', come assenza del bisogno) ...
... oscillazione, questa, cui nessuno può sottrarsi, e che ognuno è impegnato a rendersi più 'sopportabile' aggrappandosi a ideali illusori, quali sono appunto destinati a rivelarsi l'amore, l'amicizia o la solidarietà.



Laddove:
  • nell’esperienza estetica, si ‘contempla’ quella che è la stessa volontà di vivere colta nella sua oggettività, o ‘in se’ … : per poi esprimerla, nelle diverse arti, secondo livelli’ di complessità altrettanto diversi (dalla più 'costruttiva', ovvero l'architettura, alla più 'evanescente', cioè la musica);
  • nell’esperienza etica, si ‘tratta’ l'altrui volontà di vivere ‘alla stessa stregua’ della propria … : per fare in modo che, anche i propri simili, si sentano ‘obbligati’ a fare altrettanto nei propri confronti (esser giusti per non subire ingiustizia, fare il Bene per non subire il male, etc.);
  • nell’esperienza ascetica, infine, si 'risolve' la propria volontà di vivere nel suo esatto ‘contrario’, che il filosofo chiama ‘noluntas’ : un concetto, questo, che richiama quello buddhista di ‘nirvana’, e che risulta a ben vedere contraddittorio (è impossibile “volere” il non-volere “senza” volerlo).

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